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 2020  maggio 29 Venerdì calendario

Intervista a Zerocalcare

Zerocalcare, usciremo migliori dalla pandemia?
«No, ne stiamo uscendo peggio. Tantissimi si sono indebitati per non affondare. E chi aveva dei mostri dentro li ha dovuti tirare fuori».
La sua mostra si chiama "Senza santi senza eroi". Perché?
«È un titolo che avevamo scelto già prima che arrivasse il Covid, ma che il virus ha poi rafforzato: l’eroe è chi ogni giorno nel quotidiano svolge con coscienza e professionalità il proprio lavoro».
Può fare un esempio?
«L’altro giorno mentre facevo la fila al supermercato ho rivisto un infermiere che abita nel mio quartiere. Mi ha raccontato molte cose del suo lavoro che è bene non vadano disperse. Ne ho ricavato un cartoon con la sua voce originale che presenterò oggi a Propaganda Live».
La crisi li renderà di nuovo invisibili?
«C’è una schiera di persone di cui nessuno parla, privati di diritti e di bonus, come il muratore che lavorava in nero. Ho amici che campano stampando le magliette, e con il sostegno da 600 euro a malapena ci pagano l’affitto del laboratorio. E altri che a 38 anni, seppur laureati, sono costretti a fare l’inventario di notte al supermercato».
Il governo non ha fatto abbastanza?
«Mi pare che sia stato fatto di tutto per mantenere inalterati i rapporti di forza nelle società: a chi era già garantito si è dato il modo di non precipitare nella povertà, e i giovani e i precari, sono stati ritenuti qualche modo sacrificabili: erano già poveri prima».
Cosa vede quando esce per strada a Rebibbia?
«In apparenza la vita scorre come prima, con la differenza che si fa la fila per entrare dal panettiere o al supermercato. Ma se parli con la gente cogli la preoccupazione. Parlano dei soldi che non ci sono più, o che devono arrivare».
Nel raccontare le loro "vite ciancicate" ritiene di essere una sorta di portavoce?
«No, perché nessuno di loro mi ha dato una delega. Ho sempre raccontato quello che ho visto, ed è già tanto che in un simile contesto i poveri non si combattano tra loro. Il conflitto si dovrebbe esprimere in modo verticale, non in orizzontale».
La rabbia sociale esploderà comunque?
«Non ho la palla di vetro, ma nella storia dell’umanità dopo ogni grande crisi economica sono seguiti i populismi identitari, che poi sono diventate guerre. È un rischio che corriamo anche stavolta».
La sua mostra nasce da un disincanto generazionale. Lei non ha miti?
«È un concetto che mi fa un po’ ridere. Nella mostra c’è la storia di Gaetano Bresci, l’anarchico che sparò a re Umberto I per vendicare le repressioni degli operai. Ci emozioniamo sui film di vendetta di Tarantino invece dimentichiamo una storia tragica e vera come questa».
Da giovane ne aveva di eroi?
«Sì, Joe Strummer, il cantante dei Clash, e Kurt Cobain» (Ride) .
È vero che è ancora in quarantena?
«Io, concerti e cinema a parte, uscivo già poco prima, perché sto sempre gonfio di lavoro. Però ho ripreso a vedere qualche amico».
Cosa pensa degli appelli contro gli assembramenti?
«Li trovo un po’ grotteschi. E vi colgo una contraddizione: se i locali possono riaprire la gente ci va. Ho trovato pessima tutta la parte delatoria della pandemia».
È stato ligio alle regole?
«Totalmente. L’ho fatto per me e per le persone a cui voglio bene. Ma allo stesso tempo mi ha fatto orrore tutta quella sollecitazione a denunciare gli altri: l’uso dei droni o le foto postate sui social».
Come spiega il successo della serie video "Rebibbia Quarantine"?
«Beh, da un lato avevo poca concorrenza, perché tutte le produzioni erano ferme. Dall’altro è piaciuto il fatto che non ho usato la retorica stucchevole utilizzata da tanti in un clima di mobilitazione nazionale. Non è il mio stile e forse era esattamente quello che la gente voleva sentirsi dire».
Quanti giorni le servono per confezionare una puntata?
«Quattro. Ho fatto tutto da solo, registrando con il cellulare la mia voce».
Perché ha così seguito tra i ragazzi?
«Ho sempre cercato di raccontare in una maniera più o meno buffa tutta una serie di fragilità che ci sono nella società e che non vengono quasi mai narrate".
Si identificano con Secco e Sarah?
«Una delle funzioni della letteratura e dei fumetti è di fare sentire una persona meno sola, sentirsi parte di una tribù, di una famiglia».
Quante copie hanno venduto i suoi dieci libri?
«Circa un milione».
Pensa che la sindaca Raggi faccia bene a ricandidarsi?
«Delle cose politico-istituzionali in genere non mi occupo».
Ma lei è un cittadino di Roma.
«Ci sono delle debolezze fisiologiche, che non dipendono dall’amministrazione. Altre, come la questione abitativa, andrebbero affrontate in maniera seria. È un problema enorme, la casa a Roma. Sulla casa delle donne "Lucha y Siesta", a cui il Comune sta tagliando la luce, è mancata la volontà politica».
Il governo la convince?
«Non ho voglia di aggiungere la mia voce al rumore di fondo».
La destra le fa paura?
«Mi fa paura la destra che incita al pogrom delle abitazioni assegnate ai migranti o gli industriali del Nord che hanno fatto andare avanti le loro fabbriche nonostante circolasse il virus. I sondaggi elettorali fotografano la società, quello che mi fa paura non è Meloni in sé, ma il fatto che se ha molto consenso significa che il mio vicino di casa è sensibile e permeato da quelle pulsioni».
Lei si sente di sinistra?
«Mi sento parte di un movimento che ha al centro la giustizia sociale e la solidarietà fra i popoli».
E come si traduce questo sentimento davanti alla scheda elettorale?
«Boh».