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 2020  maggio 28 Giovedì calendario

L’odio per le donne su internet. Una ricerca

Una ferocia persino a prova di realtà. «Non sono quella Silvia Romano!!!», ha tentato di obiettare su Twitter una omonima della giovane cooperante rapita in Kenya. Si è vista rispondere con un imperturbabile «che tu lo sia o no...», e giù la solita solfa. Contumelie, infamie, minacce. Sui social, l’importante è detestare. Meglio, molto meglio se il bersaglio è donna. Sono tanto sconcertanti da meritare un’attenta riflessione politica i risultati di due ricerche parallele di Amnesty International Italia e di Vox-Osservatorio Italiano sui Diritti. Nel mondo web, un terzo degli attacchi personali diretti alle donne influencer hanno natura sessista e il tasso di hate speech, di parole d’odio subite, è più del doppio rispetto agli uomini. Nel 2019 le donne hanno conquistato il podio come vittime di questo particolarissimo veleno della modernità, col 39% dei casi tra novembre e dicembre (e con un incremento molto forte: era il 27% tra marzo e maggio 2019). La riserva di furia e rancore che si è riversata su Silvia Romano al suo rientro in Italia si andava accumulando insomma già nei mesi precedenti in misura mai registrata prima. Nel caso della volontaria milanese il Ros sta cercando di dare un’identità a una quarantina di «odiatori», ma il veleno intossica la popolazione attiva sulle tastiere dei pc senza grandi distinzioni di colore: nel mirino ci sono donne collocabili a sinistra, come Laura Boldrini e Teresa Bellanova, e a destra, come Giorgia Meloni e Daniela Santanché. Un caso a parte, vedremo, pare Liliana Segre, che accumula su di sé un triplo stigma agli occhi di taluni manganellatori digitali: donna-ebrea-antifascista. Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia, spiega come ad essere aggredita sia «la donna che si presenta come autonoma e libera nelle proprie scelte». Insomma, oggi come sessant’anni fa. La differenza sta solo in una verniciatina tecnologica al becerume italico. 
È ciò che emerge dal «Barometro dell’odio», cinque settimane di ricerca seguendo 20 influencer (10 donne e 10 uomini di richiamo nella vita pubblica) con un’analisi di 42.143 post e tweet a loro riferiti: il 14% è hate speech. Il repertorio lessicale contro le donne, rileva Amnesty, è come sempre ampiamente mutuato dalla zoologia: «zecca, scimmia, vacca, zoccola». La trasversalità dell’ignominia è tuttavia uno dei dati più vistosi anche per i ricercatori: «Oggi le carte sembrano essere in parte rimescolate. Non tanto o non solo perché i cosiddetti odiatori non stanno tutti da una parte (frequenti sono le ingiurie, le espressioni d’odio, le minacce rivolte da persone di sinistra a esponenti di destra, a seguito d’un livellamento dei registri d’odio che trasversalmente riguarda un po’ tutti nei social media, come la grande produzione per diffusione di hate speech verso la “delatrice” Anna Rita Biagini ha dimostrato)». Anna Rita Biagini è la bolognese che chiese l’intervento di Matteo Salvini contro presunti pusher al Pilastro da cui derivò l’infelice citofonata del leader leghista a una famiglia tunisina. Il rimescolamento, secondo Amnesty, dipende soprattutto dal fatto che chi «a destra produce linguaggio d’odio attribuisce agli altri la causa del fenomeno», «gli odiatori fanno le vittime accusando le loro vittime di essere i veri odiatori». 
Nel 39% degli oltre 42 mila post e tweet analizzati sono loro il bersaglio degli attacchi, spesso a sfondo sessista. I picchi in concomitanza con i femminicidi e nella giornata contro la violenza di genere 
Tra gli influencer seguiti dalla ricerca, Roberto Saviano subisce un 14,5% di hate speech e un 8,3% di attacchi personali, ma la Santanché lo supera alla voce hate speech (19,2%) e lo incalza come vittima di attacchi personali (6,5%). Il top dei commenti sessisti (27%) è stato generato da un tweet in cui proprio la Santanché ringraziava la sua personal trainer per gli allenamenti. E tra i primi tweet bersaglio di sessismo ne troviamo un altro della parlamentare di Fratelli d’Italia, contro la violenza islamica sulle donne, uno della Meloni contro un corteo femminista, uno della Boldrini di solidarietà con la famiglia di Silvia Romano a un anno dal sequestro. Nell’avversione alla Boldrini è necessario ricordare però il viatico di leader di primo piano, come Beppe Grillo, che chiedeva ai suoi «cosa fareste in macchina con lei?», e Salvini, che portò su un palco elettorale una bambola gonfiabile «sosia» dell’ex presidente della Camera. I politici dovrebbero meditare: i social ne sono spesso solo un megafono. Lo dimostra anche la Mappa dell’Intolleranza di Vox che, focalizzandosi su novembre e dicembre 2019, annota come l’odio contro le donne su Twitter «sia cresciuto e si sia ulteriormente polarizzato». Su un totale di 268.433 tweet estratti, 101.796 riguardano donne. Di questi 70.449 hanno polarità negativa. Dunque: una persona su due su Twitter sceglie le donne come argomento di cui parlare ma il 70% lo fa con intenti di odio. Nello stesso periodo in cui le donne arrivavano in cima alla classifica dei bersagli, è cresciuto di molto anche l’odio contro gli ebrei (+15%). A fare da catalizzatore, sostengono gli analisti di Vox, è stata appunto una donna ebrea, assai attaccata da certa narrazione: Liliana Segre. Sono proprio quelli i mesi delle minacce alla senatrice e della sua commissione contro l’odio contestata dalla destra. Difficile anche non vedere una sorta di avallo politico nei pestaggi web a Greta Thunberg, cui persino un paio di quotidiani hanno dedicato l’epiteto di «gretina», e alla «capitana» Carola Rackete. Forse un po’ a sorpresa, epicentro degli insulti Twitter sessisti è il Nord, con Milano e Bologna tra le città maggiori e una crescita di ferocia misogina nel triangolo Novara-Varese-Como. 
Ma il dato più raggelante è che il picco di odio sessista su Twitter è stato registrato il 25 novembre, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Tre giorni prima era stata uccisa a Palermo la 95esima vittima di femminicidio del 2019, Ana Maria Di Piazza. Gli analisti di Vox spiegano che da anni la loro Mappa registra la concomitanza tra i femminicidi e l’acuirsi dei discorsi di odio sulle donne nei social. Come un’infame rivendicazione di genere.