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 2020  maggio 28 Giovedì calendario

Intervista a Philippe Donnet

Le assicurazioni possono fare di più per accelerare la ripresa economica? «Certamente hanno la possibilità e i capitali per dare una spinta significativa all’economia europea, ma non a qualsiasi condizione. Servono investimenti per uno sviluppo sostenibile e noi daremo l’esempio mettendo a disposizione quasi un miliardo di euro». Nel settore assicurativo è in arrivo un nuovo giro di aggregazioni? «Qualcosa accadrà. In Europa la pandemia ha fatto perdere forza a un discreto numero di piccole e medie compagnie. Alcune, da sole, non ce la faranno». Generali capitalizza in Borsa poco più di 19 miliardi di euro. È a rischio scalata? «Dopo il crollo dei mercati, tutta la Borsa è caduta di valore. La domanda andrebbe fatta a tanti gruppi bancari e assicurativi. Però il nostro titolo è tra quelli andati meglio. Non va guardato solo il valore assoluto, ma il confronto con gli altri». Philippe Donnet, amministratore delegato delle Assicurazioni Generali, tiene molto a sottolineare «la piena salute» del gruppo anche se aggiunge che «il momento è sfidante» e che «a causa della pandemia nulla sarà più come prima». 
Qual è l’impatto del Covid-19 sulla compagnia?
Nel primo trimestre il gruppo ha realizzato una buona performance con un risultato operativo a circa 1,5 miliardi di euro, in crescita del 7,6%. Per quanto riguarda il 2020 è troppo presto per fare previsioni. La buona notizia è che siamo entrati nella crisi in condizioni eccellenti, diversamente da quanto accaduto in occasione di quella precedente, nel 2008. Oggi la solidità patrimoniale è ben diversa. 
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Fabio Tamburini
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Abbiamo uno dei livelli di Solvency II (l’indice di solidità del settore, ndr) tra i più alti. Più esattamente il Solvency ratio è del 196%, un dato invidiabile. E in questo periodo di grande incertezza sui mercati è sempre rimasto all’interno dell’intervallo desiderato. Ciò consente di guardare con fiducia al futuro e ci ha permesso la conferma del dividendo in pagamento quest’anno. Poi abbiamo ascoltato l’invito alla estrema prudenza del regolatore suddividendo il pagamento della cedola in due fasi, una il 20 maggio e l’altra entro fine anno, dopo verifica in consiglio di amministrazione. Così è stata rispettata la tradizione secondo cui il gruppo ha sempre distribuito utili, perfino in tempi di guerra.
Perché la distribuzione del dividendo è importante?
È anche un contributo alla liquidità del sistema. Un dovere per chi, come noi, ha la solidità per poter pagare. Gran parte del dividendo viene incassato da piccoli risparmiatori o da fondi che raccolgono e canalizzano risparmio. Tradotto in numeri sono oltre 190mila azionisti, pari al 63,5% del capitale sociale: il 25 % circa di azionisti retail e poco più del 38% d’investitori istituzionali. Per loro il dividendo Generali vale oltre 1 miliardo.
La forte volatilità dei mercati ha mostrato i limiti del modello attuale del calcolo della Solvency, non solo per i gruppi italiani. È il caso, secondo lei, di ridiscutere una metodologia che fa scontare agli assicuratori il rischio Italia in maniera eccessiva?
In questo periodo il Solvency II ha dimostrato di funzionare e ha creato le condizioni affinché le compagnie possano resistere bene agli shock. Non vedo motivo di cambiare perché è stato voluto per affrontare crisi importanti e si è capito che funziona bene. Perché modificarlo? E noi, nonostante il rischio Paese, abbiamo un indice tra i migliori. È vero che siamo un gruppo internazionale basato in Italia, ma il 70% delle attività è diversificato fuori Italia, con il secondo posto in Germania, posizioni di forza in Est Europa e in Austria. 
Come spiega il forte impatto delle svalutazioni di portafoglio?
Inevitabili, però l’esposizione azionaria è inferiore a quella dei principali concorrenti. Inoltre una parte del portafoglio già in passato è stata oggetto di svalutazioni secondo regole contabili imprescindibili.
State soffrendo anche per effetto dell’esposizione maggiore al rischio Italia e all’Europa?
Direi di no. In Europa abbiamo posizioni solide, ma l’Europa si sta organizzando e sta facendo le mosse giuste per ridurre i danni del lockdown e preparare la ripresa. Nel complesso si sta muovendo meglio degli Stati Uniti. Sia nella protezione dei cittadini, sia in quella dell’economia e delle imprese. Alla fine nella cultura europea c’è una componente di solidarietà molto importante, che vedo più una forza che una debolezza. 
Che previsioni fate per il 2020 
e il 2021?
il gruppo Generali ha una diversificazione di attività e territoriale significativa che permette di prevedere nel 2020 la stabilità del risultato operativo, sia pure in flessione rispetto al 2019.Le conseguenze della pandemia avranno impatto sul risultato netto del 2020 a causa principalmente delle svalutazioni. Ma è ancora troppo presto per fare previsioni in quanto non abbiamo visibilità completa sugli effetti reali dell’emergenza sanitaria su famiglie e imprese. In particolare, per quanto riguarda i sinistri, al momento è difficile avere indicazioni precise sull’impatto del Covid-19. Nonostante ciò siamo tranquilli perché nel primo trimestre dell’anno la marginalità tecnica nel ramo Danni è migliorata e la redditività della nuova produzione Vita è rimasta elevata.
Diversi assicuratori europei hanno lanciato allarmi per centinaia di milioni sui potenziali impatti del Covid. Cambierete gli obiettivi del piano industriale e le strategie di gruppo?
Il nostro portafoglio è molto resistente, anche perché siamo più una società retail che esposta alle crisi d’impresa. Così abbiamo maggior resilienza, aumentata dalla validità delle reti di vendita. Per questo, nel complesso, teniamo bene. Sicuramente non cambierà la nostra strategia, che si sta dimostrando giusta alla luce dei risultati 2019 e del primo trimestre 2020. Uno dei pilastri è la trasformazione digitale, su cui abbiamo investito molto e che è stata accelerata dalla pandemia: in 15 giorni il 90% dei dipendenti del gruppo è stato messo in condizione di lavorare da casa. A novembre terremo un Investor Day e in quella occasione saremo in grado di fornire un aggiornamento sull’avanzamento del nostro piano e sugli obiettivi.
Pessimista oppure ottimista?
Sono molto fiducioso. Nel 2019 i risultati hanno segnato una crescita importante. Siamo un grande gruppo internazionale basato in Italia e presente in 50 Paesi con 61 milioni di clienti nel mondo. Punto di forza la rete di oltre 155mila tra agenti, distributori, broker e promotori. Una rete che, dall’Italia alla Germania, dalla Francia all’Europa dell’Est fino al Sud America e all’Asia, abbiamo sostenuto in momenti di grande difficoltà e che ora ci permette di ripartire con forza.
Come vanno i mercati asiatici di Generali? Dove è già possibile osservare una prima fase di ripresa?
Abbiamo attività importanti in Cina e stanno ripartendo. Questo ci rende fiduciosi.
Le istituzioni europee stanno facendo abbastanza per supportare il nostro paese che per primo ha subito l’impatto del Covid?
Sono colpito dalla capacità di reazione dell’Europa. Quando ho visto che per la prima volta c’era l’accordo tra Francia e Germania per proporre di rendere disponibili 500 miliardi a fondo perduto sono diventato molto fiducioso. Il segnale è positivo e la strada è quella giusta. L’Europa è un grande disegno, una idea che ci ha consentito di vivere negli ultimi 75 anni il periodo più florido della nostra storia anche se oggi è per alcuni versi impopolare e purtroppo i mesi che stiamo vivendo hanno aggravato questi sentimenti. Occorrono solidarietà e visione da parte dei leader europei sia per mettere a disposizione gli strumenti per superare le difficoltà attuali, sia per immaginare un percorso post crisi. 
Con quali priorità?
Maggiore armonizzazione fiscale, una politica industriale realmente europea, la trasformazione digitale a beneficio di consumatori e imprese e la conferma del Green deal, per la transizione dell’economia verso una sostenibilità ambientale. Quest’ultimo è un passaggio fondamentale. Ecco perché abbiamo aderito all’Alleanza europea per il green recovery, iniziativa lanciata dal presidente della Commissione ambiente del Parlamento europeo, Pascal Canfin, per una ripresa economica all’insegna dello sviluppo sostenibile. All’appello hanno aderito oltre 200 firmatari, determinati ad evitare che la crisi costituisca il pretesto per fare passi indietro nella lotta al cambiamento climatico. 
Il governo italiano sta muovendosi nella direzione giusta adottando le misure necessarie?
Ha fatto passi doverosi durante l’emergenza sanitaria ed economica mobilitando risorse importanti. Certo si può sempre dire che si poteva e si può fare di più. L’importante è puntare anche sulle forze dei privati. Ognuno deve fare la sua parte. Lo Stato non può fare tutto. E, tra l’altro, sarebbe sbagliato. 
Cosa potrebbero fare le assicurazioni in questa fase e in Europa per accelerare la ripresa economica?
Stiamo vivendo una crisi di proporzioni inaudite che richiede sforzi straordinari e un’assunzione di responsabilità senza precedenti da parte dei governi e del sistema produttivo. Come assicuratori, abituati da sempre a fronteggiare i rischi attraverso la diversificazione degli stessi, possiamo dare un contributo importante alla ripresa. Sia proteggendo e assistendo persone e imprese, sia attraverso la politica degli investimenti. Penso, per esempio, al fondo infrastrutture, che rappresenterebbe un volano importante per l’edilizia. Servono fondi da mettere a disposizione e non prestiti, cioè debiti che rischiano di essere una zavorra quando l’economia riprenderà. Per questo stiamo aiutando i clienti, estendendo le garanzie, sia in termini di tempo sia di tipologie delle coperture. 
In questa assunzione di responsabilità vede dei rischi?
Occorre fare attenzione a non gravare in modo improprio sul settore, che non può essere chiamato a coprire in modo indiscriminato il costo della chiusura prolungata delle attività. Questo vorrebbe dire compromettere l’essenza stessa dell’industria assicurativa perché le perdite risulterebbero superiori al patrimonio netto di tutto il comparto, con il rischio di aggravare ancora di più la crisi drammatica che stiamo vivendo. 
Le compagnie assicurative potrebbero fare di più? 
Penso proprio di sì. Occorre trovare soluzioni nuove. Tutti insieme, aziende, governi e regolatori devono lavorare a soluzioni non solo per l’immediato ma per il futuro, per affrontare con efficacia la prossima, eventuale pandemia. 
Ha proposte da fare? 
Cito una soluzione possibile: la creazione di un fondo per le pandemie. È una opportunità unica e aiuterà a ritrovare lo spirito che ha caratterizzato la costruzione dell’Unione europea. Proprio perché le pandemie non si fermano alle frontiere, non possiamo limitarci a soluzioni soprattutto nazionali. Le assicurazioni non possono coprire da sole tutti i danni legati ad una pandemia, anche perché hanno caratteristiche che non rientrano nei principi di assicurabilità del rischio che sono alla base delle coperture assicurative. Questo significa che il fondo richiederà necessariamente partnership pubbliche-private senza precedenti, con il coinvolgimento dell’industria, dei governi e delle istituzioni europee. Dobbiamo lavorare tutti per raggiungere l’obiettivo e noi siamo pronti a fare la nostra parte.
Quali altri cambiamenti prevede come permanenti per il settore assicurativo quando la crisi pandemica sarà superata? 
È ancora troppo presto per dire con esattezza quali saranno i cambiamenti, ma sicuramente stiamo assistendo ad alcuni trend significativi. Innanzitutto l’innovazione digitale giocherà un ruolo sempre più decisivo. Si tratta di un fenomeno che era già in atto e che la crisi attuale ha accelerato. Questo naturalmente ci obbliga a essere organizzati per garantire supporto e assistenza 24 ore su 24, sette giorni su sette. In questo contesto, sempre più digitale, sarà necessario cogliere le opportunità offerte dall’analisi dei big data e da Internet proteggendo i clienti da nuovi rischi, mi riferisco in particolare alla cybersecurity. Un’altra tendenza che stiamo notando è che la crisi ha reso ancora più attuale per le persone l’importanza di proteggere loro stesse e i propri cari. Qui gli assicuratori possono svolgere un ruolo non trascurabile proponendo offerte integrate che includano protezione, prevenzione e assistenza.
Dopo Covid-19 nulla sarà più 
come prima?
Non sono tra coloro che pensano a una rivoluzione degli stili di vita. Tutti noi desideriamo tornare a lavorare insieme ai colleghi, incontrarci, viaggiare, anche se lo faremo meno. Serve avvicinare i popoli, non distanziarli. Detto ciò indubbiamente il lockdown ha accelerato alcune dinamiche che erano già presenti. Lo smart working verrà probabilmente utilizzato di più, perché ci siamo resi conto che è possibile coniugare una vita lavorativa da casa con un livello di produttività adeguato. In più la digitalizzazione dell’economia aumenterà, anche grazie all’avvento del 5G, e andiamo sicuramente verso una ulteriore digitalizzazione dei consumi. Quante persone hanno acquistato on line e si sono affidate ai servizi di consegna a domicilio negli ultimi due mesi?
Cambieranno i consumi?
Sì e saranno cambiamenti destinati a lasciare il segno. Salute e benessere sono sempre più al centro delle attenzioni: attrezzature di fitness, apparecchi per monitorare dati biometrici, acquisto di prodotti per la salute e la cura della persona. Oltre a questo, potranno diventare di uso comune strumenti finora di nicchia come telemedicina e sensori per il monitoraggio della salute in casa.
Chi perderà quota?
Altri ambiti di spesa subiranno contrazioni forti. A partire da alberghi e ristorazione fino alla sharing economy, come peraltro sta già avvenendo in Cina. Turismo e cura della salute sono settori che usciranno dalla crisi radicalmente modificati. E noi li stiamo studiando.
Dall’inizio dell’epidemia quali sono state le priorità per Generali?
La prima preoccupazione è stata garantire salute e benessere dei nostri quasi 72 mila dipendenti prendendo precauzioni adeguate e attivando rapidamente e in maniera estesa il lavoro da casa. Questo ci ha permesso di garantire la continuità delle attività e di essere a fianco dei clienti in un momento così difficile. Lo abbiamo fatto prendendo provvedimenti importanti per le famiglie, con coperture specifiche nella salute come la diaria per ricovero in ospedale e l’erogazione di capitale in caso di terapia intensiva, e per le imprese, estendendo gratuitamente le coperture in caso di chiusura delle attività. Nelle aree di focolaio del Coronavirus abbiamo previsto per i clienti residenti la sospensione, proroga e dilazione dei premi per copertura vita, danni auto e non auto. Un altro focus importante sono stati gli agenti e le reti distributive. Tutte le nostre business unit a livello internazionale hanno previsto interventi a loro favore, che in parte saranno finanziati proprio attraverso l’intervento del Fondo di emergenza Covid. 
Il segmento Salute ha acquisito negli ultimi mesi ancora più rilevanza. Come vi siete mossi? 
In Italia abbiamo lavorato a stretto contatto con Protezione civile e Sistema sanitario nazionale, contribuendo ad alleviare l’emergenza sanitaria soprattutto in marzo e aprile. Ci siamo focalizzati su azioni mirate e concrete, come l’acquisto di 20 milioni di mascherine nel momento in cui il Paese ne aveva drammatica necessità. Ora che l’emergenza ospedaliera sta per fortuna rientrando sotto controllo, stiamo lavorando per supportare l’approvvigionamento degli strumenti necessari per gestire la Fase 2 come tamponi, reagenti, test sierologici. Oltre a questo siamo stati vicini a Regioni e Comuni, anche con donazioni generose dei dipendenti che hanno voluto aderire. Il top management, inoltre, si è ridotto del 20% la retribuzione fino alla fine dell’anno e i fondi verranno donati ai familiari di medici e operatori sanitari che hanno perso la vita lavorando negli ospedali.
Perché avete creato il Fondo straordinario Covid-19?
È un fondo di solidarietà e per noi la solidarietà è un valore irrinunciabile, premessa di ogni attività. Il Fondo è stato lanciato quando il Covid-19 era nel picco di virulenza, per mobilitare subito risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza.
Quanto state investendo?
Difficile dare un numero preciso, anche perché gli investimenti sono in corso e l’effetto è duplice. In alcuni casi l’intervento del Fondo fa da moltiplicatore nella raccolta dei capitali secondo un rapporto di uno a dieci, raccogliendo gli altri nove da risparmiatori professionali, come è stato nel caso di una iniziativa lanciata da Banca Generali. Queste operazioni consentono di mettere a disposizione liquidità per migliaia di piccole aziende italiane sotto forma di finanziamenti a cinque anni coperti dal Fondo di garanzia statale. Ora stiamo valutando di estendere l’iniziativa ad altri mercati europei dove siamo presenti, perché Generali ha un posizionamento di leadership in Europa Occidentale e vogliamo contribuire alla ripresa dell’economia di tutti i Paesi nei quali operiamo. Direi che tra fondi diretti e indiretti abbiamo movimentato centinaia di milioni.
Il gruppo Generali è un grande investitore. Che ruolo può avere 
nella ripresa?
A fine 2019 gestivamo asset per circa 630 miliardi di euro, risorse che possono rappresentare un volano per la ripresa. La scelta è di puntare sugli investimenti in economia sostenibile. Dev’essere chiaro che l’economia non deve ripartire in qualsiasi modo, ma con una svolta nel segno della sostenibilità perché la lezione della pandemia non va dimenticata. Il gruppo Generali convoglierà quasi 1 miliardo di euro nell’economia sostenibile e lo faremo all’interno di un programma europeo che va nella stessa direzione, già avviato in alcuni Paesi con rendimenti interessanti per gli investitori. 
In gioco c’è anche l’intervento sulle infrastrutture. Come vi state 
muovendo?
Mobilitando risorse non solo nostre e dei nostri clienti ma in partnership con terzi. Nel 2021 gli investimenti nelle infrastrutture serviranno a dare la spinta all’economia europea. Vanno potenziate anche perché commercio on line e logistica richiedono nuove reti. Partiranno progetti in Italia e internazionali. I grandi gestori di asset come Generali sono in prima linea per promuovere e partecipare ai migliori.
La crisi sta mettendo a dura prova la tenuta di numerose compagni assicurative, soprattutto quelle più piccole. È in arrivo un ulteriore consolidamento del settore?
Qualcosa succederà. In Europa, per esempio, compagnie piccole e medie potranno perdere un po’ di forza. E alcune non avranno la capacità di gestire la trasformazione digitale. Noi saremo attenti alle opportunità che potranno derivarne. Abbiamo la solidità per coglierle.
L’Europa è il focus principale?
Per quanto riguarda le assicurazioni rappresenta la priorità. Al contrario nell’asset management guardiamo anche altrove, che significa Asia e Stati Uniti. 
Ci sarà spazio per operazioni tra grandi gruppi assicurativi?
Vedremo. L’emergenza sanitaria sembra quasi finita, almeno in Europa, ma siamo entrati nella emergenza economica. 
Sono più probabili acquisizioni 
o fusioni?
Non so dirle. Vale la risposta precedente.
Le principali compagnie europee sono di fatto public company, mentre Generali lo è principalmente sulla carta. Nell’ultima assemblea il nucleo di soci italiani ha superato il 30%. Cosa significa questo per la compagnia?
Niente di particolare. Anzi, essere una public company con azionisti stabili e di lungo periodo è una forza in più rispetto ad altre società che potrebbero avere visioni di breve termine. Il vantaggio non è di poco conto perché per una compagnia assicurativa è fondamentale lavorare sul lungo termine. Noi abbiamo la fortuna di avere come azionisti imprenditori privati e gli istituzionali.
L’ultima assemblea di Generali ha votato una riforma della governance che ha introdotto la possibilità per il consiglio di presentare una propria lista. Perché avete compiuto questa scelta?
Abbiamo condiviso una prassi di molte public company. 
Il tema diventerà di attualità nel 2022 ma in quanto amministratore delegato come immagina il nuovo consiglio?
Sinceramente oggi non ci penso. Il consiglio di amministrazione è stato rinnovato solo un anno fa e alla scadenza mancano due anni. In più con quanto è successo siamo più preoccupati di gestire la situazione attuale. Stiamo lavorando in un contesto molto sfidante.
Intesa ha avviato un percorso di consolidamento bancario in Italia, secondo lei il mercato del credito ha ancora bisogno di aggregazioni?
Preferisco non commentare. Noi non c’entriamo nulla e facciamo un business molto diverso.