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 2020  maggio 27 Mercoledì calendario

Intervista a Lino Guanciale

Accendi la televisione ed ecco Lino Guanciale che fa il piacione con un’allieva in camera mortuaria. Il contesto non aiuta ma lei, la Mastronardi, ci sta. Passa una settimana e se riaccendi la televisione, ecco Lino Guanciale che fa il cascamorto con una sua dipendente che ha il volto della Incontrada. E pure lei non resiste. Ma è andando a teatro che Guanciale é profondamente irresistibile, gran talento d’attore, quello forgiato in Accademia e poi affinato in anni di porte chiuse in faccia; lui a quanti gli offrivano cinema e tv perché ci voleva arrivare a tempo debito. Non per snobismo ma per rigore. 
Oggi si può permettere questo e altri lussi come sostituire, in autunno su Rai1, il commissario Montalbano con un altro commissario, nello specifico Ricciardi, nato dalla penna di Maurizio De Giovanni. Quando oramai si parla di Zingaretti che vuole prendersi un periodo sabbatico e del sodale Cesare Bocci, che vorrebbe seguire le sorti dell’amico, scende in campo un’altra corazzata capitanata da Alessandro D’Alatri alla regia e che vede appunto Guanciale vestire i panni di questo commissario d’epoca fascista, di infinita intuizione ma di carattere molto complicato.
Guanciale, le piace Ricciardi?
«Il lavoro fatto da Maurizio De Giovanni è geniale e mi ha coinvolto moltissimo. Merito anche di Alessandro D’Alatri che è andato a scavare nella pagina scritta. Il protagonista ha le caratteristiche di un eroe che vive nella marginalità rincorsa, la sua forza e il suo limite. Ha un dolore dentro che lo costringe all’isolamento portandolo a sviluppare un gran senso della giustizia. Il suo desiderio di riscatto me lo ha fatto avvicinare al mito di Sisifo di Camus. Ricciardi è colto nel momento in cui cerca il contatto con gli altri per allentare il fardello che si porta dietro fatto di rigore e di impegno. Oltre al dono innato di carpire l’ultimo momento di chi muore di morte violenta».
L’ambientazione è strategica. Affinità con Montalbano non ce ne sono?
«Qui siamo in epoca fascista, a Napoli, Ricciardi è un asociale che si difende da tutto a differenza di Montalbano, ma c’è per tutti e due l’appoggio della grande scrittura. Ho trovato stimolante entrare nei panni fisici del personaggio, l’ho fatto camminare in modo rispondente alla sua personalità. E mi sono abbandonato alle suggestioni. L’idea che Ricciardi cammini sulla spiaggia di Camilleri mi ha aiutato molto».
Lavoro di immedesimazione, figlia della lunga pratica teatrale. 
«Sono abruzzese, di Avezzano, e da piccolo mi incantavo a guardare le rovine del teatro distrutto dal terremoto. Mai avrei immaginato di vederlo ricostruito e di diventarne direttore artistico. Un impegno che mi prende molto».
Lei ha vinto il prestigioso premio Ubu per ben due volte, il Premio della Critica, il Flaiano, più altri riconoscimenti europei. Ha lavorato con Ronconi, Saura, Molaioli. Con «La classe operaia va in Paradiso» e con «Ragazzi di vita» ha regalato due interpretazioni da manuale. Quanto ne va fiero?
«Moltissimo. Ho recuperato il gap dell’infanzia rispetto ai miei coetanei di città. I premi valgono in quanto dispositivi sociali che testimoniano un’appartenenza».
Non la fa sorridere, dopo tutto questo, fare fiction come quelle che stiamo vedendo in questi giorni?
«Invece sono grato di vivere in un’epoca che rende possibile l’integrazione, così che i differenti percorsi non vadano l’uno a detrimento dell’altro. Significa essere al passo con il resto del mondo».
Come vede il domani del teatro alla luce di quanto accaduto?
«Il Covid ha solo amplificato i problemi già esistenti. Manca il regolamento dello spettacolo, non ci sono mai stati decreti attuativi, si procede con interventi ministeriali. Non si può prescindere da un’assunzione di valore. Gli spettacoli dal vivo incrementano il benessere, lo testimoniano i numeri che produciamo. È urgente un codice dell’intermittenza che studi gli ammortizzatori sociali per i nostri contratti non sovrapponibili a quelli degli altri settori. E ci vuole un impegno serio delle istituzioni, con sanificazioni a carico dei Comuni e la defiscalizzazione dei biglietti per i giovani. Da parte di chi scrive per il teatro, serve uno sforzo ambizioso per non cadere nella tentazione di appiattirsi sull’aneddotica del contagio, solo così si può sperare di uscirne meglio di come ci siamo entrati. L’alternativa é tragica».