ItaliaOggi, 27 maggio 2020
Gli indiani scoprono la Borsa
12,5 trilioni di dollari, 5 volte il Pil italiano. Con questo Pil potenziale (valutato a parità di potere d’acquisto, PPP) che ne fa una delle prime economie industriali al mondo, l’India vive la stagione economicamente più controversa, i suoi paradossi in tempi di lockdown. La disoccupazione è divenuta abissale e la stima delle agenzie speciali parla di una disoccupazione del 10% della popolazione e del 20% se rapportata alla forza lavoro.
Nonostante 125 milioni di persone siano rimaste senza lavoro, la contrazione sociale dell’India sorprenderà, per flessibilità e prontezza reattiva, le economie occidentali. Queste ultime, affascinate dalla Cina, non hanno mai inteso davvero la pulsione proveniente dalla nazione democratica più grande nel mondo. Una nazione che è riuscita a trasformare la sua arretratezza in una gestione della produzione agricola che consente anche alle popolazioni più povere di vivere e ai suoi giovani dotati della minima tecnologia raggiungibile (con Smartphone cinese) di puntare ai sogni di modernità.
Economic Times ha preso l’esempio di un commerciante Raunaq Singh, che, abbandonato provvisoriamente il suo piccolo negozio, ha investito l’equivalente di 2.000 euro in un conto da trader acquistando solo due tipi di azioni. Nota Sandeep Gurwara, ceo di Risa Exim, (www.risaind.com/), uno dei consulenti di borsa più attento che «in poco più di un mese, 1,2 mln di Singh, si sono trovati, come Raunaq, a investire in borsa». Nel 2019, 65 milioni di investitori privati avevano investito i propri risparmi in azioni in India, sia attraverso acquisti diretti di azioni sia tramite fondi comuni. Ma appena l’1,3% della popolazione indiana ha investito nel mercato azionario, rispetto a quote del 27% negli Stati Uniti e del 10% in Cina.
In Cina i componenti delle famiglie sono tra gli acquirenti abituali in Borsa, replicando nel trading nelle borse di Shanghi e Hong Kong quello che è avvenuto nelle due piattaforme e-commerce di Alibaba Tmall e Tao Bao. Alibaba, fondata da Jack Ma, è l’icona dell’e-commerce.
In tutto il pianeta, nei mesi Covid, si è formato un contingente di individui che si sono tuffati nel mercato azionario mentre le regole di lockdown li costringevano a casa. E solo in India circa 1,5 milioni di nuovi account sono stati aperti con la Central Depository Services (India) Ltd. tra marzo e e aprile. Molti utilizzando i trader specializzati tipo Zerodha.
Ma dove investono i giovani indiani? La Bse è la borsa più antica dell’Asia. L’Nse, pur avendo solo 1.600 aziende quotate tratta volumi giornalieri superiori a Bse che ha più di 6.000 società quotate. In termini di markcap, la Bse si colloca al 10° posto nel mondo mentre la Nse al 11° posto, con circa 2 Tr$ ciascuna. La Bse potrebbe essere una buona opzione per gli investitori a lungo termine, ma per i trader intraday che commerciano sulla leva finanziaria, i bassi volumi di Bse forse sono un ostacolo. Ad esempio, nel 2018 il volume delle azioni HDFC (la più moderna banca privata indiana) scambiate sull’Nse era di venti volte superiore a quello di Bse.
A differenza di paesi come gli Stati Uniti, dove quasi il 70% del Pil è derivato da grandi società, il settore delle grandi imprese in India rappresenta solo il 15% del Pil nazionale. Pertanto, i titoli azionari della Bse e della Nse rappresentano solo circa il 6,2% dell’economia indiana, che deriva la maggior parte delle sue attività legate al reddito dal cosiddetto settore non organizzato e dalle famiglie.
Ma la svolta è dietro l’angolo. Se l’India proseguirà il suo trend di crescita industriale, superato il difficilissimo trauma Covid, le circa 8mila società quotate avranno un’attenzione nuova da trader nazionali e internazionali. E i volumi di Bse e Nse insieme potrebbero presto aumentare del 25% e passare da 4 a 5,5 trilioni e cominciare a attaccare il primato di Shanghai e Hong Kong.