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 2020  maggio 27 Mercoledì calendario

Ai polacchi piace scavare carbone

Europa unita, ma con tanti conflitti locali. Stiamo insieme, litigando. È scoppiata la guerra del carbone tra Polonia, Germania e Repubblica Ceca. Mentre a Bruxelles si prendono provvedimenti ecologici sotto la pressione di Greta e di quanti sono convinti che il pianeta stia per morire, i polacchi continuano a estrarre carbone, impestando i vicini. Non si può ben capire il problema senza guardare una cartina del confine orientale tedesco. La cittadina di Turow si trova incastrata in una appendice che si inoltra in pieno territorio tedesco, a pochi chilometri dalla Repubblica Ceca. E gli impianti polacchi per l’estrazione del carbone, controllati dall’azienda statale per l’energia, la Pge, sono i più inquinanti d’Europa, e mettono in pericolo le falde acquifere.Nonostante le proteste, e le pressioni dell’Unione europea che versa contributi a Varsavia per rendere più pulite le sue fonti di energia, si prevede di tenere aperta la miniera fino al 2044, anzi di estendere gli scavi fino a cento metri dal confine. Anche Praga ha presentato un reclamo presso la commissione europea: i polacchi mettono in pericolo la fornitura d’acqua per trentamila abitanti nella zona di confine. «I polacchi stanno violando una serie di regole europee per l’ecologia» denuncia Martin Pura, il governatore del distretto di Liberec «da decenni le miniere di carbone ci causano serie guai, ma Varsavia non intende chiuderle».
I polacchi rispondono che le preoccupazioni sono esagerate, e le proteste strumentali. Non ci sono pericoli per le falde acquifere, solo qualche inconveniente minore per il paesino di Uhelma, ma si sta per risolvere il problema. Una menzogna, ribattono i cechi: «La miniera ci succhia l’acqua» denuncia Milan Starec, 37 anni, un abitante di Uhelma «siamo costretti a razionare l’acqua potabile e a limitare le docce, non più di una alla settimana a testa».
In realtà gli impianti di Turow sono vitali, forniscono l’8% dell’energia elettrica in Polonia. E l’80% dell’energia è prodotta grazie al carbone. Ci si è impegnati a ridurre la percentuale al 60% entro il 2030, per scendere nel decennio successivo al 32%. I polacchi manipolano i dati, denuncia Berlino, e nonostante le rassicurazioni, il ministro per il clima a Varsavia sta concedendo alla Pge un nuovo permesso di estrazione fino al 2026. Eppure i polacchi hanno ricevuto da Bruxelles 2 miliardi euro per riconvertire le fonti di energia, la sovvenzione più alta elargita a un paese dell’Unione.
I tedeschi sono furibondi perché l’uscita dal carbone, decisa alla fine del 2019, è stata accompagnata da aspre polemiche, e ha un alto rischio politico e sociale nella ex Germania Est, dove trionfano i populisti dell’estrema destra. Si chiuderanno le miniere nella zona di Zittau, in Sassonia, entro il 2038, ma gli abitanti protestano per la perdita dei posti di lavoro.
Si dovrà attuare una profonda e costosa riconversione come quella compiuta in passato nella Ruhr, dove si sono spenti gli altiforni e chiuse le miniere. Molti centri si sono trasformati in paesi fantasma. Non ci abita più nessuno, le case comprate dai minatori non valgono nulla. E alcune parti della Ruhr, nell’occidentale Nord Renania Westfalia, sono più povere delle regioni della ex Ddr. Abbandonare il carbone definitivamente costerà alla Germania non meno di 80 miliardi di euro.