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 2020  maggio 27 Mercoledì calendario

Intervista a Enrico Mentana

«Non pubblicare foto di Carnera a terra», segnalava una velina del Minculpop in epoca fascista. Perché in tempi di guerra (o di autoritarismi) l’informazione libera, quest’aria necessaria alla democrazia, rischia spesso di finire in propaganda. Oggi, anno 2020, al tempo della guerra al coronavirus, come se la passa la nostra libertà di informazione? E la politica? Lo abbiamo chiesto ad Enrico Mentana, direttore del Tg La7. Domanda. Direttore, durante le guerre, l’informazione rischia sempre la propaganda. Questa guerra al virus ha fatto rischiare la propaganda all’informazione italiana?
Risposta. Ma no, no. C’è poco da propagandare. Quando si vivono tempi eccezionali, quando per due mesi il momento più atteso della giornata è il bollettino dei casi da coronavirus, delle terapie intensive e dei morti, c’è poco da dire. È propaganda o è libertà di informazione? Vivi in una situazione di coprifuoco ed è questo che abbiamo vissuto. Ovviamente, come sempre accade, come succede negli altri aspetti della vita, nelle cose commerciali, in una fase così c’è chi acquista campo e chi ne perde. Per farle un esempio: i supermercati hanno potuto stralavorare, altre categorie non lo hanno potuto fare. E così nell’informazione e nella politica: è chiaro che la voce che contava era quella istituzionale, vuoi che fosse il Governo con il volto di Conte vuoi che fossero le emanazioni, come la Protezione Civile, che davano le notizie ed i numeri.
D. Cosa ha tenuto insieme gli italiani?
R. La paura è l’elemento che ha tenuto insieme gli italiani. Quando dici alla gente, state in casa altrimenti rischiate di morire’, è evidente che tutti stanno a casa. Poi ci si può anche complimentare con il popolo italiano, che è stato disciplinato ma, vista quale era l’alternativa, era difficile essere indisciplinati. Anche se, alla lunga, gli italiani non reggono le emergenze, come nessun popolo del resto. E soprattutto si mescola il vitale, necessario, ritorno della politica con gli elementi di polemica, come abbiamo visto anche negli ultimi giorni. Metta insieme gli attacchi reciproci tra maggioranza e opposizione e ne verrà fuori un miscuglio....
D. La conferenza stampa di Giuseppe Conte nella quale attaccava l’opposizione che lei, se lo avesse saputo (lo ha detto pubblicamente) non avrebbe trasmesso. Una scelta di libertà?
R. Quando Conte usa una diretta televisiva, praticamente a reti unificate, per fare le sue comunicazioni che sono attese per sapere il confine tra la vita e la morte, quella diretta non la può usare per ragioni non istituzionali. Sapevo benissimo che criticando queste modalità sarei andato incontro a proteste terribili. Sulla rete e non. Ma si tratta di un punto che io, per cultura, ho sempre salvaguardato: non puoi usare in una fase così drammatica uno spazio istituzionale per fare polemica politica».
D. Una questione di democrazia?
R. Io non ho difficoltà a dirle che personalmente preferisco, in questo momento, essere governato da Conte che da Meloni o da Salvini. Meglio che i poteri forti li abbia chi non è leader di un partito, magari pure molto gerarchizzato. Però ho imparato da giovane un concetto di fondo e me lo porterò dietro sino alla tomba: che la democrazia ha un solo, unico, vero vantaggio, rispetto alle altre forme di governo di un paese. Ed è la preservazione dell’opposizione. Io, questa, la tutelerò sempre. Per tanti anni mi son portato dietro l’etichetta di fan dei 5 Stelle perché, a differenza, di tanti altri, davo spazio, il dovuto spazio, anche all’opposizione, che rappresentava in Parlamento un quarto degli italiani. La tutela dei diritti dell’opposizione, per chi fa informazione, peraltro con un mezzo pervasivo come la televisione, è una cosa importante. Ed io su quello, in pace come in guerra, sono intransigente.
D. E quindi?
R. So bene che questo Paese è l’unico paese occidentale dove ci son dei populisti al Governo e dei populisti all’opposizione. Ma non è per questo che mi impaurisco. Per cui se Salvini va a suonare un citofono a Bologna chiedendo: «Qui abita uno spacciatore?», mi fa schifo. E lo dico. Così se Ricciardi, dei 5 Stelle, attacca sconsideratamente la Lombardia sui morti per il coronavirus, fa schifo. E questo vale per tutti, da destra e da sinistra, perché la politica si è incattivita negli ultimi anni e può far dei danni devastanti.
D. Che sta succedendo, viviamo di sentimenti negativi?
R. È ovvio che ci siano rischi forti però ci sarà pure un motivo se due anni fa, con le elezioni, son stati mandati a casa tutti i moderati e riformisti a vantaggio della politica populista. I due populismi, prima alleati al Potere, 5 Stelle e Lega, oggi sono divisi, uno al Governo, i grillini, e l’altro all’opposizione, la Lega. I 5 Stelle governano con i democratici. Quelli del Pd, di fatto, fanno i tecnici, gli esperti, sono i Brusaferro e i Locatelli dell’economia. Spiegano ai 5 Stelle come si prendono i soldi in Europa. Ma questa situazione, con i moderati sconfitti, dovrà avere una spiegazione. Perché le forze populiste hanno vinto? Purtroppo, come spesso accade, la sinistra non è capace di compiere analisi delle proprie sconfitte. E noi ci portiamo dietro questo non detto sulla sconfitta dei moderati, che vale per il Pd, i renziani e Berlusconi».
D. Noi italiani ci siamo incattivi anche per via del web?
R. Ventotto anni fa, ai tempi di Tangentopoli, il rancore e il fenomeno erano gli stessi, e il web non c’era. Il fenomeno della ghigliottina c’era già. Una rabbia che, col passare dei decenni è diventata ancora un’altra cosa, soprattutto con le ultime crisi tra il 2008 e il 2011. Con quella crisi, molta gente è arrivata alla convinzione che i soliti garantiti non l’avevano neppure sentita, la crisi, mentre gli altri erano stati rovinati. Questo è stato un detonatore forte di una crisi che già c’era. Il filosofo francese Alain Finkielkraut, in una intervista a La Repubblica ha parlato di «populismo penale». Perché quella è la grande arma dei populisti. C’è qualcosa che non va? In galera! Come gridava il personaggio di Giorgio Bracardi ad Alto Gradimento» Oggi c’è un silenzio degli innocenti assordante, e la partita si gioca tra il populismo di governo e il populismo di opposizione.
D. Questo silenzio non sarà soprattutto il sintomo della crisi delle nostre élite?
R. Su questo non c’è dubbio. Noi abbiamo i Gentiloni, i Gualtieri, che sono ormai i Brusaferro di Conte. Si sono ribaltati i ruoli. Conte è l’avvocato del popolo e Gualtieri è il commercialista dell’avvocato del popolo. Però questo deve farci capire – (siccome stiamo parlando di gente capace) che viviamo tempi ferini e soprattutto oggi in Italia una classe politica dovrebbe pensare come se ne esce, da questa crisi, politicamente e socialmente. Ed invece corrono dietro al pallone, come una volta all’oratorio, senza pensare al futuro ed a come affrontarlo.