il Fatto Quotidiano, 27 maggio 2020
Fellini davanti ai tarocchi
Dio, l’unico: “Sperava costantemente gli si rivelasse. ‘Anche perché mi sentirei protetto, mi sentirei soprattutto perdonato’”. Le automobili, tante: “Marcello (Mastroianni, ndr) comprava una Jaguar e Fellini una Triumph, Marcello passava alla Triumph, e Federico alla Porsche, se la comprava anche Marcello allora Federico passava alla Bmw”.
Le donne, di più: “Riservava inoffensive pacche sul sedere, lo faceva con sarte e comparse, ma un giorno osò darla a una parrucchiera bella e procace, Giusy Bovino, che lo mise subito a posto. ‘E no Fellini, non con me, capito? Ho un marito e un figlio!’. Ci rimase male e mi chiese come si poteva considerarlo un gesto offensivo. Per lui era una manifestazione di allegra familiarità. Oggi sarebbe denunciato dal movimento #MeToo…”.
Gli epiteti alle donne, infiniti: Giuliettina Masina; Sandra Milo, Sandrocchia, ossia “Patatona mia! Tenera culona! Meravigliosa porca, dolcissima buffona!”; Anna Giovannini, “ma io sono soprattutto la sua Pavoncina, lo sai come mi chiama? Sono la sua Paciocca”; Anouk Aimée, e “Ciao bella tettona a chi stai pensando? Occhi seducenti e labbra invitanti, più passa il tempo e più scopro che sei una vera mascalzona”; Marina Ceratto Boratto, “diventai per lui Marina la bella, Marinella o Marinotta, bambocciona o Tesorino”. È quest’ultima a firmare in prima persona, davvero, singolare La cartomante di Fellini, memoir di chi il maestro riminese – pardon, “E poi io mi ritengo romano, romagnolo per caso, spargi la voce che sono piemontese, puoi?” – l’ha conosciuto bene.
Confidente, tarologa, attrice (Block-notes di un regista), figlia d’arte (Caterina Boratto, la Signora Misteriosa di 8½, per Tullio Kezich “l’epitome della bellezza femminile”), scrittrice (il diario di lavorazione del Satyricon) e giornalista, Boratto può nascondere le carte, mai le parole: è un flusso cronachistico, poetico e psicanalitico insieme, in cui la coscienza – del regista, del suo tempo, di quel cinema e quel gossip inimitabili – rapisce, asservisce, evapora.
Sulla scia di Ruggero Maccari: “Caro Fellini, o sei un genio o sei un grande stronzo!”, l’autrice conviene “che era un genio, ma a volte era anche un po’ stronzo. Ma perché si finiva sempre per perdonarlo?”. Perché era larger than life, direbbero gli americani, perché era Fellini, direbbero tutti: totalizzante, totalitario, un uomo con gli attributi, anzi, con l’aggettivo. Lui solo: felliniano. Per Françoise Sagan “un imperatore, un re, un tiranno”, per Camilla Cederna, “più vicina al vero, un viaggiatore senza bagaglio”, per Ceratto “ma quanti Fellini esistono?”.
Federico che “odiava viaggiare e fare qualsiasi sport”; che “credeva a quel mondo fatto di troll, elfi, coboldi”; che non sapeva lasciare la moglie, “andassi a vivere con un’altra donna, mi conosco, prima o poi tradirei anche questa. Ricomincerei la stessa manfrina. Sarei insensato”; che rivaleggiava, con Visconti: “Si rubavano gli attori, i tecnici, i costumisti, gli operatori a vicenda”; che si asteneva, con Bergman e Buñuel: “Penso che detestasse proprio l’idea di una gara tra lui e lo svedese, per di più se includeva anche il geniale spagnolo”; che scazzava con (quasi) tutti, giacché “con Giulietta degli spiriti, non entrerà in crisi solo il rapporto con Flaiano, ma tutta una serie di altre amicizie. Subito dopo, cambierà il gruppo degli sceneggiatori, l’operatore, l’art director, l’organizzatore e il produttore”. Già, i produttori: Angelo Rizzoli, Dino De Laurentiis, Alberto Grimaldi. Dinocittà, gli studios sulla Pontina, Federico non li soffriva, i tarocchi fatti in loco certificarono: “Estrasse le peggiori carte del mazzo e mi fu impossibile barare: Il diavolo, la Torre che crolla, L’Appeso, ma anche, per fortuna, un magico Papa. ‘Mio dio, Marinotta, cosa mi può succedere di tanto terribile?’”. Il papa produttore, e salvatore, si sarebbe rivelato Grimaldi, ma quelle carte fecero baluginare anche “il papa amico, il papa medico”: “Sicura, bambocciona?”. Scopriamo un Fellini che non solo richiede, ma chiede, e perfino dice di sé. Negli appunti della Ceratto, l’identikit di un genio carnale, umbratile, feroce e vulnerabile. “Amava ciò che aveva, come dice sant’Agostino”, e nel novero James Bond, Matisse, Piero Della Francesca e Rossini, l’Ariosto e i romanzi di Simenon e Dickens. “Gli piaceva molto attendere, anche se invano, una donna che desiderava”, e disprezzava “le tavole rotonde, le lumache e le ostriche, il gorgonzola”. E sì, sapeva detestare: “La gente che si riempiva la bocca sempre e soltanto di Brecht, Humphrey Bogart, il tè, la camomilla, il caviale, Pirandello, le crêpes suzette, i film politici, i film psicologici, i film storici, ma anche le finestre senza tende e il ketchup”.