La Stampa, 26 maggio 2020
Trump alla conquista dello spazio con Musk
Gli americani escono a riveder le stelle. Perché il lancio in programma domani a Cape Canaveral del Crew Dragon non segna solo il ritorno degli astronauti Nasa su un razzo Usa, seppur costruito insieme al privato Elon Musk, ma è il primo passo di una nuova ambiziosa era per la conquista dello spazio, che punta prima alla Luna e poi a Marte. Con tutte le fascinazioni e le opportunità che un’impresa del genere porta con sé, dallo sviluppo economico a quello tecnologico, passando per il mito dell’esplorazione, la competizione militare, e persino il turismo.
L’ultima volta che gli astronauti della Nasa erano andati nello spazio con un mezzo Usa era stata il 21 luglio 2011, quando l’Atlantis pilotato dall’ex marine Doug Hurley era atterrato. Da allora, per andare sull’International Space Station a 400 chilometri sopra la Terra erano stati costretti a chiedere un passaggio ai razzi russi Soyuz dal Kazakhstan.
Nel 2002 l’imprenditore sudafricano Musk aveva fondato in California SpaceX per colonizzare Marte, ma poi si era dedicato alle consegne a domicilio sulla stazione orbitante con il razzo Falcon, ispirato al Millennium Falcon che lo spericolato Han Solo pilotava in Guerre Stellari. Tra successi e fallimenti, il cargo del fondatore di Tesla era diventato un taxi abituale per la Nasa.
Il presidente Obama aveva deciso che gli Usa dovevano tornare nello spazio, per atterrare prima su un asteroide, e poi su Marte. Nel 2014 aveva avviato il Commercial Crew Program, con cui la Nasa si era affidata ai privati, assegnando 4,2 miliardi di dollari alla Boeing e 2,6 a SpaceX, allo scopo di costruire i mezzi con cui riportare gli astronauti americani sulla stazione orbitante. Boeing ci ha provato con lo Starliner, ma a dicembre il volo di prova è fallito per un problema di software, e tutto è stato rimandato al 2021. Anche SpaceX ha avuto i suoi guai, tipo l’esplosione di un razzo mentre provava il sistema di salvataggio degli astronauti. Ora però è pronta, e alle 4 e 33 minuti di domani pomeriggio ha in programma di far decollare dal Launch Pad 39A di Cape Canaveral il razzo Falcon 9, con sopra la capsula Crew Dragon. Musk ha scelto il nome ispirandosi a «Puff the Magic Dragon», canzoncina per bambini sospettata di essere un inno alla droga. L’ha fatto per rispondere agli invidiosi, perché quando era cominciata l’impresa avevano commentato che dove essere «fatto», se pensava che avrebbe funzionato. A bordo ci saranno proprio Doug Hurley, 53 anni, che quindi riprenderà le missioni americane dove si erano interrotte, e Bob Behnken, ex pilota dell’Air Force di 49 anni. I due sono amicissimi, al punto che hanno conosciuto le rispettive mogli, le astronaute Karen Nyberg e Megan McArthur, mentre facevano insieme il corso per entrare alla Nasa.
La missione Demo-2 è stata preparata per cinque anni, e non sarà una passeggiata. Secondo gli ingegneri ha una possibilità su 276 di concludersi con la morte di Doug e Bob, e una su 60 di incontrare problemi non fatali per l’equipaggio. Le previsioni del tempo non sono ottimali, ed esiste un 60% di probabilità che il lancio debba essere rimandato a sabato 30, anche se il presidente Trump prevede di essere presente a Cape Canaveral. Se non bastavano le difficoltà tecniche, il 18 maggio si è pure dimesso Douglas Loverro, che gestiva le missioni della Nasa con esseri umani a bordo. Secondo le indicrezioni, è stato costretto a lasciare per errori commessi nel programma Artemis.
Trump ha deciso che vuole rilanciare la presenza americana nello spazio, un po’ per l’orgoglio di assomigliare a Kennedy che aveva avviato la conquista della Luna, e un po’ per le grandi opportunità economiche, tecnologiche e militari che offre. Le missioni Apollo, in fondo, erano state soprattutto un eccezionale volano per lo sviluppo delle capacità del Paese. Ripeterle ora servirebbe insieme a rilanciare gli Usa, conquistare nuovi spazi, e intimidire rivali come Cina e Russia. Perciò il presidente ha fondato la Space Force, cioè la nuova componente delle forze armate americane incaricata di combattere le «guerre stellari», e nel dicembre 2017 ha firmato la Space Policy Directive 1, con cui ha indicato la linea di andare tra le stelle. Trump ha ammesso che tornare sulla Luna non gli interessa molto, perché è stato già fatto, ma poi ha corretto il tiro, spiegando che servirebbe per costruire la base da cui partire alla conquista di Marte. Perciò il 14 maggio del 2019 ha battezzato il programma Artemis, sorella di Apollo, per preparare le nuove esplorazioni. Il ritorno sul satellite della Terra è stato anticipato dal 2028 al 2024, durante l’eventuale secondo mandato presidenziale, con l’obiettivo di restarci in maniera permanente e sbarcare sul Pianeta Rosso negli Anni 30.
A questo scopo la Nasa ha già assegnato 579 milioni di dollari a Blue Origin di Jeff Bezos, 253 a Dynetics, e 135 a SpaceX, per costruire il modulo di atterraggio lunare. In totale il programma Apollo era costato 136 miliardi di oggi, mentre Artemis finora ne ha ricevuti poco più di 20. Però siamo solo all’inizio, e contributi importanti arriveranno anche dal settore privato, che ad esempio punta a sfruttare il turismo spaziale per incassare milioni. Il 6 aprile scorso, poi, il capo della Casa Bianca ha firmato un ordine esecutivo per regolare lo sfruttamento delle risorse minerarie fuori dalla Terra, ossia Luna e oltre. Gli Usa dunque vogliono tornare tra le stelle, ma non solo per guardarle.