La Stampa, 26 maggio 2020
Intervista a Marzio Barbagli
Con lo sguardo rivolto avanti, divergente rispetto a quelle che chiama «le polemicucce tra forze politiche» (a partire dal baccano sugli assistenti civici chiamati a vigilare sulla movida), Marzio Barbagli pesa le parole: «I problemi veri sono il dramma dell’economia e le conseguenze sociali che ci aspettano. Temo che possano esserci gradi crescenti di frustrazioni e conflitti: finora non ne abbiamo viste, ma temo rivolte di disperati e non vedo nessun partito che possa mettersi alla loro testa». Sociologo, professore emerito dell’Università di Bologna, per cinquant’anni ha studiato e raccontato le trasformazioni del Paese, dalla famiglia all’immigrazione, alla criminalità. Oggi avverte: il fuoco cova sotto la cenere di una crisi senza precedenti.
Professore, l’emergenza coronavirus ha ridotto allo stremo famiglie e imprese. La ripartenza è lenta, spesso gli aiuti promessi dal governo tardano ad arrivare. E lei si dice preoccupato...
«Il problema è il confronto che la gente fa nel momento in cui vengono dati soldi e vantaggi. Ci sono continui confronti fra gruppi che non si sentono sufficientemente rappresentati: perché a lui sì e a me no? L’insoddisfazione nasce da questo, e da condizioni oggettive. Far fronte ai bisogni della popolazione è complicato, una gran quantità di denaro è stata investita per sostenere gli strati svantaggiati della popolazione nei prossimi mesi, ma c’è sempre il rischio di commettere errori nella distribuzione».
Vede segnali che potrebbero indicare questa deriva?
«Finora pochi per fortuna, ma fino a pochi giorni fa era impossibile anche protestare. Tutti siamo stati chiusi in casa, basta pensare alla drastica diminuzione dei reati. Ma le prime manifestazioni fanno pensare a un’insoddisfazione crescente. Questa idea che i sociologi hanno ripreso più volte era chiara anche ad Aristotele, che parlava di invidia: si invidiano le persone vicine nel tempo e nello spazio, per età e reputazione. I confronti che creano insoddisfazione non sono fra strati medio-bassi e strati alti: nessuno si confronta coi super-ricchi, ma tra gradi diversi di svantaggio. E sono inevitabili».
Perché inevitabili?
«Perché l’emergenza ha introdotto forme nuove di disuguaglianze: non rispetto al grado e alla distribuzione di reddito e ricchezza, ma anche all’interno della stessa popolazione occupata. Servizi e terziario sono stati particolarmente svantaggiati. Pensiamo a chi lavora nel turismo: cosa succederà alle centinaia di migliaia di persone che lavorano in questo settore? Oggi non lo sanno. I ristoratori per esempio: alcuni sono ancora chiusi, altri hanno riaperto e stanno cercando una soluzione. Ma quando si accorgeranno che queste soluzioni sono insoddisfacenti e faranno il confronto con altri settori che sono stati meno svantaggiati senza avere meriti – penso per esempio al pubblico impiego, a persone che hanno il lavoro fisso e non rischiano di essere licenziati – cosa succederà? Questo dramma può provocare nuove forme di frammentazione e di proteste difficili da controllare».
Il governo ha detto che nessuno sarebbe rimasto indietro, ma alcuni sono stati dimenticati, altri stanno ancora aspettando gli aiuti, come la cassa integrazione in deroga. È stato sbagliato fare quella promessa?
«Non ho particolare simpatia per il premier, ma credo che il governo abbia un compito difficile tenendo conto dei problemi ben noti che ha l’apparato del Paese: burocrazia, banche che non si fidano delle assicurazioni dello Stato, non credo che altri avrebbero fatto meglio. Il debito pubblico italiano va verso il 160%, un problema enorme per il futuro. Eppure il governo ha fatto tutto quello che poteva: immettere denaro per dare sostegno agli strati in maggiore difficoltà. E poi non basta fare decreti perché poi quelle regole siano attuate».
Avrebbero dovuto usare strumenti diversi?
«Le banche avrebbero potuto essere bypassate, ma è più facile a dirsi che a farsi. Diverso è il caso delle risorse per la disoccupazione: è noto che servono mesi prima che la cassa integrazione sia erogata, quindi abbiamo scoperto cose che si sapevano già. Poteva il governo rendere le procedure più rapide? Forse sì, ma sono scelte fatte in una situazione di concitazione, tipico di una emergenza. Il dilemma fin dall’inizio è stato tra salute e lavoro, ma nessuno sapeva bene cosa fare, non solo in Italia».
In questo quadro i partiti continuano a litigare…
«Credono di parlare al loro elettorato, ma io penso che i cittadini lo vivano con fastidio. Dovrebbero considerare che nel dramma che abbiamo vissuto il dibattito politico è diventato sempre più irrilevante: i cittadini erano attenti alle decisioni, ma il dibattito a cui siamo abituati – inteso come contrasto tra le forze politiche – è considerato sempre più fastidioso».
Come le polemiche sugli assistenti civici?
«Polemiche sul nulla, nessun timore di autoritarismo. Se queste persone non possono fare multe, ma si limitano a dire a un giovane quali rischi corre o di mettersi la mascherina, mi pare che questo rientri in quel controllo sociale che avviene normalmente dentro una comunità».