Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2020
Hong Kong rischia lo status di hub finanziario mondiale
Il recupero dello 0,1% messo a segno ieri dalla Borsa di Hong Kong, dopo il crollo del 5,6% di venerdì, non cambia lo scenario: il nuovo scontro con la Cina peggiora una crisi che colpisce tutti i settori dell’economia, finanza, costruzioni, consumi.
Già da due anni, l’hub finanziario si ritrova preso in mezzo alle tensioni tra Washington e Pechino: la guerra dei dazi e la corsa alla leadership tecnologica hanno contributo a far crollare la Borsa di Hong Kong nel 2018. La ripresa dell’anno successivo è stata quasi annullata dai disordini innescati in estate dalla legge sull’estradizione che Pechino ha tentato di imporre alla regione speciale: un primo assalto al principio «un Paese, due sistemi», in base al quale Hong Kong continua ad applicare i principi dello Stato di diritto, nonostante il ritorno alla sovranità cinese. L’immagine della città come hub finanziario stabile ne esce fortemente sconvolta.
Il 2020 si annunciava come il peggior anno nella storia dell’ex colonia britannica già prima delle tensioni di questi giorni, con migliaia di dimostranti in strada contro il nuovo attacco all’autonomia di Hong Kong da parte di Pechino e le sue nuove norme sulla sicurezza nazionale, che gli attivisti considerano uno strumento per reprimere il dissenso. Nelle scorse settimane, le autorità della regione speciale avevano previsto un crollo del Pil del 7% per quest’anno, dopo la flessione dell’1,2% del 2019. Stime che ora possono peggiorare.
Il Governo è riuscito finora a gestire in modo efficace la pandemia sul fronte sanitario, con meno di 1.100 casi confermati e quattro decessi. Nulla però ha potuto fare per proteggere l’economia dallo shock della domanda estera. Nel primo trimestre, il crollo del Pil è stato dell’8,9% su base annua. La disoccupazione, in aumento da sei mesi, ha raggiunto i massimi da ottobre del 2010, mentre la fiducia delle imprese è ai minimi storici. Ad aprile le esportazioni sono calate meno del previsto, ma grazie soprattutto alla tenuta del mercato cinese.
La pandemia ha colpito soprattutto commercio al dettaglio, hotel, bar e ristoranti. Le restrizioni per contenere il contagio hanno definitivamente messo al tappeto il turismo, che già soffriva il calo degli arrivi di visitatori dalla Cina, tenuti lontani dai disordini. Con un calo dei visitatori del 99%, a marzo le vendite al dettaglio sono crollate di oltre il 40% in valore per il secondo mese consecutivo.
Per sostenere i consumi, l’ex colonia ha distribuito 10mila dollari di Hong Kong (1.180 euro circa) a tutti i residenti permanenti dai 18 anni in su (qualcosa di molto simile all’helicopter money). Nel complesso, il Governo ha annunciato un piano da 37 miliardi di dollari, quasi il 10% del Pil.
Le nuove tensioni con Pechino complicano tutto. Tra le preoccupazioni più forti c’è la reazione Usa. Washington garantisce a Hong Kong un regime commerciale speciale, che la esclude dai dazi imposti alla Cina. Se la città perdesse la propria autonomia, la Casa Bianca sarebbe pronta a revocare lo status. Il consigliere economico della Casa Bianca, Kevin Hassett, ha avvisato che «Hong Kong è stata il centro finanziario dell’Asia per molto, molto tempo. Non credo che continuerà a esserlo», se Pechino prosegue con il suo progetto di imporle le proprie norme sulla sicurezza nazionale.
Il progetto di legge sarà approvato giovedì. Ieri la Cina ha provato a rassicurare, affermando che le disposizioni non compromettono l’autonomia di Hong Kong e che con le nuove norme gli investitori esteri saranno al riparo dai rischi di «terrorismo» emersi negli ultimi mesi. Pechino ha però anche avvisato Washington di essere pronta a rispondere colpo su colpo: «Se gli Usa continuano a danneggiare gli interessi della Cina, allora prenderemo le necessarie contromisure», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian.