Il Sole 24 Ore, 26 maggio 2020
Alitalia, il salvataggio già costato 210 euro a testa
Tre miliardi di euro alla Nuova Alitalia per fare cosa? Nessuno lo sa. Il decreto legge «Rilancio», che stanzia questa somma senza precedenti, dice: «La società (...) redige senza indugio un piano industriale di sviluppo e ampliamento dell’offerta, che include strategie strutturali di prodotto».
Il governo riconosce che non c’è un piano. Intanto mette sul piatto tre miliardi, al buio. Forse si vuole fare la guerra a Lufthansa, appena salvata con 9 miliardi? Oppure a British Airways? A Air France-Klm o a Ryanair? Chi lo sa. La domanda andrebbe girata all’amministratore delegato della «Newco» Alitalia. Ma non è ancora stato nominato. Ci sono contrasti tra il Mef, altri ambienti del Pd e il M5s.
Non è neppure stata costituita la nuova compagnia, che sarà «interamente controllata dal ministero dell’Economia» o «da una società a prevalente partecipazione pubblica anche indiretta». L’atto costitutivo sarà un decreto del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri,?«di concerto» – nell’ordine – con i ministri delle Infrastrutture Paola De Micheli (Pd), dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli (M5S) e del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S).
Nella storia della compagnia una dotazione patrimoniale di tre miliardi Alitalia non l’ha mai vista. Il massimo di patrimonio netto (la somma algebrica tra capitale, riserve, eventuali utili accantonati e perdite non ripianate) che Alitalia ha avuto è stato 1 miliardo e 817 milioni di euro a fine 1998, quando la proprietà era dell’Iri (53%), la flotta di 160 aerei (27 di lungo raggio), i dipendenti 18.360.
L’a.d. era Domenico Cempella, che aveva puntato sull’alleanza-fusione con Klm (scelta giusta) e sull’hub di Malpensa al posto di Fiumicino (scelta controversa, attuata solo in parte, senza la chiusura di Linate, Fiumicino fu indebolito e Alitalia ne uscì con le ossa rotte), ma nel 2000 tutto andò in fumo.
Quando a fine 2008 lo Stato uscì e arrivarono i «patrioti», i Capitani coraggiosi chiamati da Silvio Berlusconi, che adesso dice sì alla nazionalizzazione, la capitalizzazione fu di un miliardo.
Oggi la flotta è diminuita a 112 aerei (26 di lungo raggio), i dipendenti sono 11.132. Dunque tre miliardi, anche volendo scontare le perdite del Coronavirus (ma Alitalia era già in crisi prima, ha perso 600 milioni nel 2019), sembra una cifra fuori dal comune per la ridotta dimensione di mercato che Alitalia ha assunto.
Il ministro Gualtieri ha rigettato il confronto fra i 3 miliardi e i soldi che il decreto stanzia per gli ospedali (stessa cifra) o la scuola (la metà): «C’è la possibilità di costruire una newco con del capitale: non si possono confrontare i 3 miliardi di Alitalia con altre misure». In questo caso si tratta non di «deficit ma di saldo netto da finanziaziare: è equity che rimane dello Stato quindi io non sto pagando, lo Stato ci può persino guadagnare». Questa dichiarazione non è rassicurante.
Sommiamo i 3 miliardi a quanto Alitalia è già costata allo Stato e alla collettività in 45 anni. Il punto di partenza è lo studio di Mediobanca, che ha calcolato in 7,4 miliardi i costi diretti di Alitalia dal 1974 al 2014. Quel valore aggiornato a oggi è pari a 7,62 miliardi. Aggiungiamo i 75 milioni versati da Poste a fine 2014 per l’operazione Etihad, i 900 milioni «prestati» nel 2017 dal governo di Paolo Gentiloni, si arriva a 8,6 miliardi, più 145 milioni di interessi, non rimborsati.
A fine dicembre 2019 il governo M5S-Pd ha assegnato al nuovo commissario, Giuseppe Leogrande, altri 400 milioni, come «prestito» semestrale, che non verrà restituito, né saranno pagati gli interessi per quasi 20 milioni. Aggiungiamo l’ultimo colpo: i 3 miliardi per la Newco, più altri 350 milioni, residuo del decreto «Cura Italia» di marzo. Si arriva a 12 miliardi 515 milioni. Ancora: almeno 100 milioni per gli oneri della cigs nei tre anni di commissariamento.
In totale Alitalia è costata 12 miliardi e 615 milioni. Cioè 210 euro a testa per ogni italiano, neonati (e contaminati) compresi.