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 2020  maggio 26 Martedì calendario

Autostrade, la cassa c’è ma serve per i debiti

Non ci hanno pensato due volte. Era passato un anno dal disastro del Morandi, con le roventi polemiche sull’eventuale revoca della concessione, e Autostrade per l’Italia deliberava l’ennesimo lauto dividendo da 310 milioni a favore della controllante Atlantia dei Benetton. Liquidità in uscita dalle casse di Autostrade, nel 2019, come se nulla fosse accaduto. Come se per Autostrade il destino non si incamminasse verso una stagione difficilissima nei rapporti con lo Stato. Questa volta con il Covid è stato diverso. Niente dividendo solo per poter bussare a Papà Stato per avere 1,2 miliardi di prestito garantito per sopravvivere, come hanno fatto intendere i vertici di Atlantia. Una strada molto comoda. Da sempre i Benetton hanno gestito le autostrade come fosse un bancomat.
Un ventennio fatto di acquisizioni a debito, di investimenti bassi solo per garantire cedole ultramilionarie alla famiglia di Ponzano Veneto. Solo negli anni dal 2014 al 2017 sono usciti dalle casse di Autostrade 2,8 miliardi a favore di Atlantia. E in un intero decennio Autostrade ha ripagato i suoi soci forti con ben 6 miliardi di dividendi, più di tutti gli investimenti fatti per gestione e sicurezza della rete. Un modo di gestire la società dai grandi flussi di cassa come se nulla potesse mai scalfirla, senza che un evento eccezionale potesse sparigliare le carte. Ora il redde rationem. Il crollo del traffico nei mesi del lockdown penalizzerà i ricavi per Aspi che rischia di vedere azzerati i profitti abituali. Ma da qui a chiedere la sovvenzione garantita dai contribuenti ce ne corre. Autostrade potrebbe farcela da sola. In cassa la società ha riserve per 2,9 miliardi, di cui 1,6 di liquidità e 1,3 di linee finanziarie. Non solo, in pancia ad Atlantia – che controlla Aspi con l’88% delle quote – ci sono riserve liquide per 15 miliardi di cui 5,2 di cassa e 10,4 di linee finanziarie. Se è vero che Autostrade rischia di essere strozzata da mancanza di liquidità, potrebbe intervenire la controllante.
Ma qui salta il giochino facile dei Benetton che si sono fatti autogol da soli nella stagione ventennale dei dividendi a pioggia: quella liquidità non si può toccare, pena il crac della stessa Atlantia. Quei soldi stanno a baluardo di un debito infinito. Sempre salito. Addirittura da 9 miliardi ai 38 attuali, figli di un’altra acquisizione tutta a debito: quella del gigante spagnolo Abertis. I Benetton hanno usato il debito, anziché soldi propri, per crescere oltre misura e ora ne pagano le conseguenze col crollo del traffico, minori ricavi e flussi in caduta che non reggono più l’insostenibile peso del debito. La liquidità c’è, ma deve stare in cima alla catena accanto ai 38 miliardi di debito, altrimenti il rating che già è spazzatura verrebbe declassato ulteriormente. Se per 20 anni prosciughi i lauti utili della concessione, sotto forma di cedole per famiglia e azionisti, poi non puoi battere cassa a Papà Pantalone, chiedendo il solito aiuto pubblico. Non è il Covid ad azzoppare Autostrade, ma l’enorme castello di debito costruito in modo spregiudicato dai Benetton sulle lucrose concessioni pubbliche. Bussare ora allo Stato è quanto meno poco elegante.