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 2020  maggio 26 Martedì calendario

Sordi privato, un seduttore tutto casa e chiesa

Alberto Sordi si racconta e un po’ se la racconta. La particolarità del libro di Maria Antonietta Schiavina, edito da Mondadori in occasione del centenario dalla nascita il 15 giugno, Alberto racconta Sordi, è dare voce all’attore in prima persona attraverso le confidenze raccolte in un anno di appuntamenti del mercoledì nell’ufficio di via Emilia 47. Famiglia, infanzia trasteverina, religione e politica, Fellini e Togliatti, il progetto sugli ultimi giorni del Duce. Più che i fatti e gli aneddoti, che pure si leggono con piacere anche quando sono noti, colpiscono le considerazioni-bilancio sulla vita che Sordi affida all’autrice a condizione che le pubblichi solo dopo la morte, «con discrezione, però».
Il primo lungo capitolo è dedicato alle donne, che ha conosciuto biblicamente già a tredici anni: «Milano fu l’anticamera di un Eden che mi accompagnò dal l936, quando entrai nella compagnia Riccioli- Primavera, 42 ballerine da tutto il mondo, abbastanza disponibili». Erano loro la droga. «Altri attori usavano la cocaina, chiesi: dà energia per le attività sessuali? Niente? Ma allora meglio farsi con un fiasco de Chianti». La sua versione sul perché si è fidanzato sempre, sposato mai, «non ho conosciuto la persona che mi ha fatto pensare: questa me la sposo. Ritengo il matrimonio indissolubile, ma sono costituzionalmente traditore». Leggendo tra le righe si capisce che s’è innamorato ma il bozzolo di donne di casa che lo ha avvolto fin da bambino non lo ha fatto volare via. Da ragazzino nessun amore per lo studio, molta voglia di esibirsi, anche da chierichetto, prendendosi qualche scapaccione dal prete. Oltre alla mamma, le donne della sua vita sono le sorelle Savina e Aurelia, «signorine per scelta», la segretaria Annunziata Sgreccia, confidente delle sorelle su tutti gli stati d’animo del nostro. Nelle lodi alle qualità femminili Sordi parla di una creatività condivisa con gli omosessuali, verso i quali il giudizio è da uomo d’altri tempi: «Durante il fascismo erano mandati al confino o al manicomio, chi aveva il difettuccio era un disgraziato, preda di cattiverie di ogni genere». Chiarisce: «Non ho niente contro gli omosessuali e non giustifico chi li prende in giro o li offende. Ma una volta occultavano la propria natura, ora invece addirittura la ostentano involgarendo senza motivo un tendenza che fa parte del loro intimo e non deve sembrare una moda». Ben prima del Me-Too Sordi pensava che «sfruttare una situazione di vantaggio – molti attori, registi, produttore lo fanno spesso – è da vigliacchi e mai avrei cercato di ottenere un rapporto basato sul ricatto».
Niente moglie significa niente figli. «Per anni ho tenuto in tasca l’immagine di un bimbo bellissimo. Quando ero con i colleghi e si parlava di prole tiravo fuori la foto: ecco mio figlio, lo vedete quant’è caruccio? Mi davano del matto, rispondevo: non è il massimo del piacere immaginare di cullare una creatura confezionata che si vorrebbe mangiare a morsi?». Poi ammette: «Il rammarico di non aver avuto figli mi ha accompagnato spesso ma mi sono consolato pensando se poi mi viene male, che faccio?». Preferisce occuparsi dei bimbi degli orfanotrofi «che puoi andare a trovare, che adotti, cioè fai tuoi, nel momento in cui li frequenti. Chiedono poco e danno moltissimo». Non si tira indietro di fronte all’etichetta di avaro, nata ai tempi della Dolce vita: «Una giornalista scrisse che quando i colleghi erano in via Veneto, io stavo a casa per risparmiare. E pensare che a differenza di attori importanti, quando giravo un film non ho mai portato a casa i cestini del pranzo». Cattolico e conservatore, rivela che «un leader della destra mi chiese di candidarmi, risposi che non era aria». Ma da un politico ricevette «la massima gratificazione: «Togliatti dopo la prima di Una vita difficile mi abbraccia commosso. Io: onorevole, lei sa che sono lontano dalle sue idee. E lui: oggi apprezziamo l’artista Sordi». I piatti casalinghi, lo stile di vita restano quelli delle origini. Se deve pensare alla commozione, il massimo interprete dell’italico cinismo ricorda «quando la mamma piangeva cantando O Santa Vergine prega per me, piangevo anch’io». La sua è stata una vecchiaia piena di propositi: «Ricevendo il Leone a Venezia ho detto che la carriera l’ho appena iniziata, ho una serie di vecchietti da interpretare sperando di far capire ai giovani (je darei un sacco de botte perché non sanno la fortuna che hanno tra le mani) che devono stare vicino ai nonni, sono un grande patrimonio di cultura». Non ha paura della morte, Sordi, scomparso il 24 febbraio del 2003, «solo il rammarico di non vivere più quando gli altri si svegliano, lavorano, amano, mangiano». L’ultimo film che avrebbe voluto: «Un duce casalingo raccontato tra quattro mura con moglie e figli, uomo e non dittatore», con qualche schiaffo preso da una manesca Donna Rachele, «un Mussolini macchietta, lontano da guerra e politica. Mi arrivarono minacce fin dall’America del Sud. Lasciai perdere per non avere grane. Sarebbe stato un successo».