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 2020  maggio 26 Martedì calendario

Intervista a Anthony Giddens

«I prossimi 20-30 anni potrebbero essere il periodo più cruciale nella storia dell’umanità ». È la previsione sul mondo d.C., dopo Covid 19, che si sente di fare Anthony Giddens, uno dei massimi sociologi viventi, ex direttore della London School of Economics, teorico della Terza Via riformista che portò il centrosinistra al potere in Occidente negli anni ’90, da Clinton a Blair, da Schroeder a Prodi. Membro della Camera dei Lord, autore di innumerevoli saggi, tra i quali i recenti La politica del cambiamento climatico e Potente e turbolenta. Quale futuro per l’Europa? (entrambi pubblicati in Italia da Il Saggiatore), Giddens afferma che siamo entrati in un’era di «grandi opportunità e grandi rischi», per affrontare la quale è necessaria «una nuova forma di progressismo»: una sorta di quarta via, fusione tra green revolution e lotta alle diseguaglianze.

Come sarà il futuro del mondo dopo la pandemia, professore?
«Mi viene in mente la vecchia battuta di Yogi Berra, grande allenatore americano di baseball: “È difficile fare previsioni, soprattutto sul futuro”. In questo caso ancora più difficile, perché non c’è mai stata una crisi come questa, che paralizza il mondo intero e viene condivisa da tutti attraverso il web. Mi permetto di coniare un neologismo per definirla: digi-demia, prima pandemia digitale della storia. Circolano profezie di ogni genere, da un mondo migliore a uno peggiore, da uno più generoso e solidale a uno più avido e conflittuale. Ma nessuno sa con certezza cosa ci riserva il futuro perché siamo di fronte a una sfida totalmente inedita, nel male, un virus che si diffonde in un mondo ad alta mobilità sociale, e pure nel bene, perché non abbiamo mai avuto un mezzo come internet per comunicare e condividere quello che ci sta accadendo, pur restando chiusi per mesi nelle nostre case».
Possiamo individuare le principali minacce?
«La prima è sanitaria: se ci sarà una seconda ondata di contagi, ed eventualmente quanto grave, ovvero se riusciremo a controllare il coronavirus attraverso vaccini o altre misure sanitarie o dovremo conviverci a lungo. La seconda è di natura politica: le elezioni presidenziali americane di novembre. Ci saranno? Anche questo dipende dal virus. E se il risultato non fosse netto, gli Stati Uniti potrebbero precipitare nel caos: non è affatto chiaro come reagirebbe Trump».
E in Europa?
«Concordo con Macron: per l’Unione europea questo è il momento della verità. La pandemia può rivitalizzare la Ue o distruggerla. Le somme proposte per aiutare gli stati maggiormente in difficoltà sono ingenti. Ma un Paese come l’Italia ha tutto il diritto di ricevere sostegno. Se l’Italia affonda, anche la Ue affoga. Serve una risposta unitaria».
Nel nostro Paese ci sono forze pronte a usare la risposta europea alla pandemia, se verrà giudicata insufficiente, come un mezzo per spingerci fuori dall’Unione…
«Le manovre che Matteo Salvini lascia intravedere porterebbero alla bancarotta. Non vedo come l’Italia potrebbe uscire dall’euro senza conseguenze catastrofiche. Mi auguro che non accadrà».
Condivide l’opinione di certi esperti secondo cui la pandemia condurrà a una maggiore presenza dello stato nell’economia dei paesi occidentali?
«Joe Biden si è avvicinato alle posizioni di Bernie Sanders, a favore di un massiccio aumento della spesa pubblica per ridurre le diseguaglianze: se diventerà presidente penso che lo farà e che la sua politica influenzerà altri paesi nella medesima direzione. Ciononostante, credo che il peso della libera impresa resterà fondamentale, negli Usa come altrove. Non ci sono le condizioni per un ritorno a economie centralizzate o a qualche forma di socialismo vecchia maniera».
Nel dibattito della sinistra eppure alcuni lo chiedono.
«Nel Regno Unito l’industria manifatturiera rappresenta l’8 per cento del Pil, una percentuale che scenderà ulteriormente con l’avvento dell’intelligenza artificiale. La classe operaia, base dell’idea di socialdemocrazia, è avviata a scomparire. Centralismo e socialismo anni Settanta non sono la ricetta per il futuro».
Una conclusione che lei aveva già individuato venticinque anni fa, quando teorizzò la Terza Via.
«Ma da allora il fenomeno ha fatto passi da gigante, accelerato dal progresso tecnologico e dalla rivoluzione digitale. Beninteso, personalmente continuo a sentirmi un socialdemocratico, con valori di sinistra, e sottolineo che la Terza Via, nella mia formulazione originale, non concepiva affatto una resa della politica nei confronti del mercato, come invece l’hanno interpretata alcuni leader. Sono tuttavia convinto che debba nascere una nuova forma di progressismo per il 21esimo secolo, capace di fondere l’ambientalismo della green revolution con l’esigenza di combattere le diseguaglianze».
Ma lei è ottimista o pessimista sul mondo dopo il Covid?
«Francamente sono etichette che rifiuto. Preferisco dire che viviamo in un mondo a grande opportunità e a grande rischio. I prossimi 20-30 anni potrebbero essere il periodo più cruciale nella storia dell’umanità. Potremmo sviluppare forme di super-intelligenza in grado di risolvere la maggior parte dei problemi odierni e conquistare il cosmo. Ma anche mettere in moto l’estinzione della nostra specie».
Quest’ultima possibilità non è eccessivamente pessimista?
«Temo di no. Una pandemia come il Covid 19 potrebbe ripresentarsi in forma più letale. Il cambiamento climatico continua a essere la minaccia numero uno. La proliferazione nucleare resta un pericolo per la sicurezza globale. La sovrappopolazione è un’altra incognita: presto saremo 10 miliardi. E dopo il secolo inglese, l’Ottocento, e il secolo americano, il Novecento, siamo entrati nel secolo asiatico, al centro del quale c’è un paese autoritario come la Cina, che minaccia una nuova guerra fredda con gli Stati Uniti. I rischi sono enormi. Ma anche le opportunità».