La Stampa, 20 maggio 2020
La movida dei giovani vista da Vanzina
Poche persone come Enrico Vanzina hanno saputo raccontare il mondo dei giovani, un universo che fa squadra a parte, oggi sotto accusa per aver ecceduto nella movida come se il Coronavirus si combattesse al bar tra baci e abbracci. «I giovani si sono comportati benissimo in pieno lockdown. Il problema credo sia più complesso di come viene narrato. Paolo VI aveva scritto: «Dite ai giovani che il mondo esisteva anche prima di loro e dite ai vecchi che il mondo esisterà anche dopo di loro». Ho visto figli e nipoti in contrapposizione, una guerra silenziosa che si combatte da sempre. Perciò appare abusato l’appello al senso di responsabilità. I giovani hanno più bisogno di esempi che di critiche. Se è successo quello che è successo nelle varie piazze italiane è anche responsabilità di una comunicazione non chiara».
Come dire che si scaricano su di loro altre colpe?
«Dico che il disastro è dovuto ad altro, la drammatizzazione è dovuta ad altro. Don Milani raccontava che alcuni ragazzi avevano scritto fuori dalle scuole "I care", bisogna sempre portarli a pensare in questo modo, perché non abbia la meglio il motto fascista del "me ne frego". "I care" di mia nonna, della mia scuola, della mia città. È per arrivarci bisogna che i più giovani si possano fidare di quello che viene detto loro, senza diktat ma con la forza dell’esempio e della parola mantenuta».
Una visione e dunque una soluzione del problema contingente che cerca le sue radici in profondità...
«Bob Dylan cantava qualcosa che merita una riflessione e lo cantava ai giovani degli anni Sessanta: "Essere giovani significa tenere aperto l’oblo della speranza anche quando il cielo si è stancato di essere azzurro". Nel comportamento di massa dei nostri figli e nipoti si legge la speranza che ci sia una fine e che un nuovo inizio possa esorcizzare il catastrofismo. Inoltre non ci dimentichiamo che essere immaturi equivale a essere imperfetti. Come continua a insegnarci Oscar Wilde". Non sarà la rigidità a risolvere ma la credibilità».