L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sede a Ginevra, pochi chilometri dalla sua casa sul lago. Sonya Yoncheva, 38 anni, che negli ultimi anni è diventata la diva più richiesta, elegante, carismatica e seducente della lirica, avrebbe voglia di affrontare i responsabili vis à vis: «Perché la ripartenza ci consente di viaggiare inscatolati in un aereo, pur se con una distanza minima, e non di rientrare a teatro usando le stesse precauzioni?». Anche La Traviata , in programma il primo agosto all’Arena di Verona, è a rischio cancellazione, a meno che il governo non accetti i tremila occupanti come richiesto dalla sovrintendente Gasdia (per ora il numero massimo per un concerto all’aperto è di mille). Il soprano bulgaro ha trascorso il lockdown con suo marito, il direttore d’orchestra venezuelano Domingo Hindoyan, e i loro due bimbi di sei anni e otto mesi.
«Non era mai capitato di vederci continuativamente per più di un mese», esclama. E protesta: «Ora si parla di riaperture, ma per noi della lirica non ci sono certezze. Che dolore rinunciare alla Fedora alla Scala». Sono in forse anche altri impegni programmati per il 2020: Metropolitan, Covent Garden, molti recital e tanto Verdi ( Traviata a Firenze e a Verona, appunto), l’autore cui ha dedicato il terzo cd ( The Verdi album , ed. Sony Classical): «È un compositore che ha rivoluzionato il mondo dell’opera; un uomo di teatro, intrigante per un’attrice mancata come me». Dopo il primo posto al concorso Operalia nel 2010, una solida amicizia con Plácido Domingo, un esordio barocco alla corte di William Christie e i molti trionfi nel belcanto e nel verismo, Yoncheva sta ora flirtando con Wagner. «Mi preparo anche psicologicamente al debutto ( Lohengrin con Roberto Alagna, a Berlino il prossimo dicembre), i sentimenti wagneriani richiedono sicurezza e maturità; il mio punto di riferimento è il soprano svedese Birgit Nilsson (1918-2005), voce drammatica con tanto colore e uno squillo eccezionale», spiega.
Cancellata la sua presenza alla serata Wagner di domani sera a Ravello; confermato l’omaggio a Puccini il 26 luglio nella Piazza dell’Anfiteatro di Lucca. Ce la faranno i teatri a riaprire nel 2020?
«Lo spero tanto, ma per ora tutto quello che sappiamo è… che non sappiamo niente. Parlo ogni giorno con i sovrintendenti, c’è tanta volontà di ricominciare; è triste vivere in questo tempo sospeso, malinconico. Non so come evolverà la situazione, ma sono ottimista, la musica è sopravvissuta anche a momenti più drammatici di questo».
Quando è iniziata la sua love story con la musica?
«Da bambina, a sei anni, nella nativa Plovdiv. I miei erano poverissimi, ma appassionati di musica in generale e della classica in particolare. Mia madre sognava per me e mio fratello un futuro da artisti; cinema, teatro, televisione, musica, qualsiasi cosa. Riversava su di noi la frustrazione di attrice mancata; avrebbe voluto recitare, ma non c’erano soldi, non poteva permettersi di abdicare ai suoi doveri di moglie e di madre. Ho iniziato con il pianoforte poi, a quindici anni, casualmente, ho scoperto di avere una voce. In casa ascoltavamo di tutto, molta classica, molto jazz, molto rock, Elvis Presley e Queen soprattutto. C’era una trasmissione radiofonica che mi incantava, condotta da un giornalista che raccontava le vite dei divi del pop. Mi identificavo totalmente! Anche oggi sono eclettica negli ascolti, passo dai dischi di tango argentino a quelli di Aretha Franklin».
Che bambina era?
«Scatenata. Correvo per ore, sempre scalza, rubavo la bicicletta di mio nonno e scorrazzavo senza sosta per la città. Ero diventata una sorta di capobanda, organizzavo degli spettacoli con i miei amichetti impresario e primattrice. Mia nonna lo diceva sempre, sei una selvaggia!».
Lo racconta anche nel documentario “Sempre Libera”: i genitori hanno investito ogni centesimo sulla carriera dei figli.
«Il regista Georghi Toshev era convinto che dovessi raccontare la mia storia adesso che sono in piena attività, non quando sarà il momento del ritiro. La mia vita prima del Covid-19 era una follia totale, lui mi ha seguito ovunque per due anni, ha indagato sulla mia infanzia, ha parlato con mia madre e mio fratello. È un documentario molto affettuoso, fa ridere e piangere».
Ci sono filmati amatoriali in cui si diverte a cantare con suo marito Domingo Hindoyan che l’accompagna all’ukulele.
«Sì, li abbiamo girati durante il lockdown. Era diventata un’abitudine: ogni sabato sera stappavamo una bottiglia e facevamo un brindisi alla vita. Aspettando l’ora di cena registravamo canzonette come Parole, parole , imitando Dalida e Alain Delon, Quando m’innamoro , oppure standard jazz come Misty».
Nell’“Aida” all’Arena di Verona, nel 2021, sarà diretta dal maestro Muti, gelosie in famiglia?
«Macché, è un’occasione che aspettavo da anni. L’ho incontrato l’anno scorso a Baden-Baden, io ero nell’ Otello diretto da Zubin Mehta, lui faceva il Requiem di Verdi; un uomo molto charmant».
Un’ambizione segreta?
«Cinema. Fare un film, un film vero, in cui recito senza cantare. Magari sarà mia figlia a farlo - realizzerà il mio sogno come io ho realizzato quello di mia madre».