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 2020  maggio 25 Lunedì calendario

Madri e dipendenti hanno perso di più

Un dipendente lasciato a casa per tre mesi – durante il lockdown e dopo – quando farà i conti a fine anno registrerà una perdita di quasi un quinto del suo salario netto: -18%. La cassa integrazione l’ha protetto e ha conservato il posto, ma ha dovuto rinunciare a quasi 3.500 euro netti: non solo perché la cassa copre l’80% dello stipendio con un tetto – a 940 euro lordi, circa 780 netti – ma anche perché in quei tre mesi ha perso pure un pezzetto (i ratei) di tredicesima e quattordicesima.
Una partita Iva – rimasta a zero entrate in marzo e aprile e dimezzate in maggio – si assicura i 2.200 euro di indennità garantiti dai decreti Cura Italia e Rilancio: due volte 600 euro e poi 1.000 perché il crollo del fatturato è stato sopra il 33% in marzo e aprile. Ma a fine anno, sempre che tutto vada bene di qui in poi, avrà bruciato 1.784 euro, circa il 9% delle sue entrate nette annue. La metà del dipendente in Cig, benché a parità di retribuzione annua lorda: 22.500 euro. E questo perché il cassintegrato nei tre mesi si assicura circa 2.300 euro netti, ma perde un pezzo di 13esima e 14esima. L’autonomo ne riceve 3 mila: 2.200 euro dallo Stato e il resto dalla ripartenza degli affari – seppur dimezzati – in maggio.
E veniamo ai genitori, i più danneggiati. Se mamma o papà, lavoratori dipendenti, hanno chiesto 15 giorni lavorativi di congedo straordinario per il Covid, hanno rinunciato per quei giorni al 50% della retribuzione. Questo significa un terzo in meno di stipendio netto (-34%), sceso da 1.140 euro mensili (20 mila lordi annui) a 752 euro: taglio di 388 euro. Se poi hanno allungato il congedo per tutto il mese – visto che in lockdown era difficile trovare babysitter disponibili —, gli altri 7 giorni lavorativi (lo standard contrattuale mensile è di 22 giorni lavorativi) erano a retribuzione nulla: poteva stare a casa, ma senza stipendio. Ecco che il suo cedolino è sceso di due terzi (-66%): da 1.140 a 388 euro, con una perdita di 752 euro.
Tre esempi – cassintegrato, partita Iva, genitore – per raccontare la crisi dei redditi durante il Covid, pronta a tradursi in una crisi di consumi e ad accelerare la recessione. E qui parliamo comunque di redditi protetti, salvati – seppure in parte – dagli interventi del governo. Ma sappiamo che nelle 10 settimane di emergenza sanitaria ed economica – dall’1 marzo al 9 maggio, nei calcoli Inps – le domande per il sussidio di disoccupazione Naspi sono balzate del 40% sullo stesso periodo del 2019, con picchi spaventosi tra i contratti a tempo determinato chiusi e non rinnovati (+82%) e quelli degli stagionali (+56%). Così le domande di Discoll, indennità per i cococo senza lavoro, salite del 125%. Le ore di Cig – letteralmente esplose – fanno temere il peggio per quando scadrà il divieto di licenziare (17 agosto). L’Inps calcola in 1,3 miliardi le ore richieste di Cig dalle aziende e autorizzate, spalmate tra febbraio e agosto, con picco in aprile quando l’Italia era quasi tutta chiusa. Il numero più alto di sempre, superiore alla doppia grande crisi del 2008-2009 e 2011-2013.
Sappiamo anche che i settori “non essenziali” – bloccati dal governo – occupavano i più fragili tra i lavoratori: contrattini, retribuzioni basse, nero. Parliamo di giovani, operai, apprendisti, part-time involontari, stranieri. Che ne sarà di loro, adesso che l’Italia è ripartita? Ogni mese scadono 300 mila contratti a termine: lavoreranno ancora? «Non dimentichiamo le donne, le più penalizzate in questa fase», ragiona Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, commentando i dati delle tabelle che la Uil Lavoro, Coesione e Territorio ha simulato per Repubblica. «Le risposte per le donne continuano a non essere sufficienti. Il congedo straordinario, usato per lo più dalle mamme, al di là della perdita economica, anche raddoppiato a 30 giorni come ora non risolve i problemi. Le scuole sono chiuse, non tutte le aziende possono mettere le lavoratrici in smartworking, anche il bonus babysitter raddoppiato a 1.200 euro a un certo punto finisce. Cosa resta? Il taglio dello stipendio».