Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 24 Domenica calendario

Sull’ultimo romanzo di Franco Cordero

Più che a Bellum civile del 2017, è a L’armatura del 2007 che si richiama La tredicesima cattedra di Franco Cordero, scomparso l’8 maggio scorso alla vigilia dell’uscita in libreria; non fosse che per una situazione di partenza, trattandosi là del ventenne Fert che si reca in un Castello della Marca d’Oriente per consultarne la ricchissima biblioteca per un dottorato in filosofia, quindi nell’opulenta Golconda ove la meritata docenza sfuma per miserande invidie. Qui, è un cinquantasettenne professore di Filosofia cui è offerta la possibilità di ottenere una prestigiosa cattedra rimasta vacante nel Collegio del prestigioso ateneo di Rocca di Monteferro, «i cui professori godono d’uno statuto vieux style, inamovibili: servizio attivo fino a settant’anni compiuti, poi cinque fuori ruolo, stipendio pari all’attuale, larga pensione; il Collegio non dà diplomi né tiene esami».
La condizione è di tenere sette lezioni che scivolano ben presto dal filosofico al teologico, soffermandosi su temi quali il peccato originale; il «male: da dove venga; a chi imputarlo; quanto libero o coatto sia l’animale umano» e le «favole del libero arbitrio», al termine delle quali deciderà una commissione dove sono presenti però anche docenti manipolati dalla reazionaria Astrea, «conventicola delle Tenebre». Il tour de force si conclude positivamente e lo stesso professore così lo riassume: «Nei giorni feriali stavo sui libri, se togliamo le corse, gl’interni del Club, Tibaldo, tre serate presso i notabili, due escursioni con David: a tempo perso vagavo in varie storie; ho anche imbastito le avventure d’un chierico fortunosamente mancato, storia seicentesca». Dove va anche detto che questa stessa storia seicentesca «di deformazione» – di un Alessio che, accolto in un collegio di gesuiti, entra in crisi tanto da fuggire alla vigilia dei voti – che egli viene appuntando nei momenti liberi «senza l’assillo stilistico. Tessitura e ricamo verranno a tempo debito», ha diversi riscontri tematici con L’armatura.
Coincidenze anche di sostanza per quanto riguarda la narrazione: da un dialogato che virgoletta solo le parole altrui assumendo le essenziali risposte del protagonista la forma dell’indiretto libero; alla sostituzione della biblioteca del Castello con le raffinate proposte bibliografiche del «libraio artista» Tiboldo; a un narrare che si muove tra presa diretta del presente, momenti del passato liceale, presenza di sogni che caratterizzano i suoi risvegli; racconti di opere che viene leggendo, sollecitate da testi prelevati dalla libreria. Ed ecco allora «Templari, anni tenebrosi prima e dopo la peste, il morbo teutonico (che chiama anche “diabologia hitleriana”), la guigned’Edgar Poe (seguendo il “rendiconto biografico” di Marie Bonaparte), Rodulfus Glaber cronista d’eventi intorno al Mille, Tristano e Isotta, un caso giudiziario settecentesco (ossia Rodophe le Diable)»: che sono i testi più a lungo attraversati sì per futuri corsi, ma anche quali exempla in negativo del discorso sul «libero arbitrio», centrale in quello che in tal senso non sarebbe da chiamare romanzo in quanto, «meno veri delle favole, i romanzi sviluppano l’avventura in serie lineari, mentre la fiaba coglie filoni multipli».
Che è quanto accade nel continuo incrociarsi di quei resoconti con disamina critica di testi del «baro impenitente» Tommaso, di Agostino, Calvino, Arnauld, Leibniz; dell’«Apocalisse, guignol teologale» e delle «fantasmagorie paoline», recuperando come «libro crudelmente onesto» la prima edizione di Le memorie d’Iddio di Papini; e con altre storie e nomi richiamati per via associativa.
Un Cordero da definitivo faccia a faccia con la sua stessa storia, quello che, abdicando alla lingua secca, essenziale, sbotta in un «Al diavolo le cautele diplomatiche, habemus prolusionem. I quadri teologali non forniscono ragionevoli misure etiche, semmai le negano celebrando le soi-disantes ragioni del più forte. Lo dicono i dogmi: Iddio crea il mondo in vista dell’inferno; e alleva una razza d’automi i cui destini aveva stabilito ab aeterno». E, con riferimento alla storia di Alessio iniziata in terza persona ma poi tradottasi in Io narrante: «Se le Moire m’assistono, viene fuori un romanzo importante». Un rinvio richiamato dalle date di nascita (come Alessio, Cordero nasce il 6 agosto, ma del 1928). E siglato dall’epitaffio che rilegge la sua stessa storia di intellettuale «eretico» in quella di Alessio. Indicando al quale, in sogno, una cappella: «Vi siamo sepolti. Livosco indica i nomi. “Tu sei lì.” Guardo l’epitaffio: alfa, 1628; ha coperto con la mano i numeri dopo l’omega. (...) Qui finisce la partita d’Alessio con le potenze del secolo».