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 2020  maggio 24 Domenica calendario

Intervista allo storico Paul Kennedy

In Ascesa e declino delle grandi potenze (Garzanti), pubblicato per la prima volta nel gennaio 1988, Paul Kennedy prevedeva tre anni prima della fine della guerra fredda l’erosione del potere dei due colossi allora dominanti, Stati Uniti e Unione Sovietica. Le grandi potenze, per restare tali, devono mantenere un equilibrio difficile tra benessere economico, da una parte, e obblighi strategici e militari globali, dall’altra. Inoltre, il declino è sempre relativo all’ascesa altrui e bisogna saperlo gestire. Infatti, l’America continua a espandersi oggi, ma meno della Cina e meno rapidamente di prima. A quel testo di 704 pagine tradotto in 23 lingue e pluripremiato, ritrovato pure nella libreria di Bin Laden, viene riconosciuto di avere anticipato lo stato delle relazioni internazionali. Quest’estate, lo storico britannico trapiantato a Yale, 74 anni, intende aggiornarlo con un’introduzione e ampie riflessioni finali, una promessa che ripete da tempo. Ma ora che tutti parlano di declino americano, sarà cauto sull’ascesa cinese. 
Professore, lei ha appena finito di scrivere un saggio, «Victory at Sea», storia navale della Seconda guerra mondiale, che racconta non il declino ma la stupefacente ascesa degli Stati Uniti. 
«Anche questa è una storia di ascesa e declino: attraverso sei anni di guerra marittima racconto l’emergere degli Stati Uniti come unica grande superpotenza nel 1945-1946. All’inizio sei Paesi si contendono il dominio del mare: Italia, Giappone, Francia, la Germania nazista, la Royal Navy britannica e la Marina Usa, che non è nemmeno la più grande. Dal 1943, in modo incredibilmente rapido, assistiamo alla trasformazione dell’ordine mondiale grazie alla produzione industriale americana: due portaerei al mese, 95 mila aerei in un anno. È interessante perché oggi, forse, dopo 70 anni di dominio marittimo americano, gli equilibri di potere stanno cambiando ancora una volta». 
La Cina è una potenza continentale, con confini terrestri con 14 Paesi, circondata da alleati degli americani. Può competere nei mari con gli Stati Uniti? 
«È difficile. La Cina ha vicini impegnativi e sospettosi, rapporti difficili con Taiwan, rivalità con il Vietnam, gelosie con il Giappone. A lungo i cinesi, incluso Mao Zedong, hanno trascurato il mare. Ora la Cina è di gran lunga la più grande nazione esportatrice al mondo, costruisce porti dal Pireo al Belgio. Non ci sorprende che anche la sua flotta militare si stia costantemente ampliando. La Cina spende per la sua flotta più di Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna insieme e, secondo gli esperti del Naval War College di Newport, non pensa solo a proteggere i suoi commerci: sta rapidamente costruendo potenti sottomarini lanciamissili e cacciatorpediniere, e sta cominciando a mettere insieme una flotta di portaerei. Penso che lo scopo esplicito sia di diventare una grandissima potenza navale. Anche se è limitata dalla sua natura continentale, vuole essere entrambe le cose: una superpotenza ibrida. Potrebbe non riuscirci ma l’ambizione c’è». 
Perché potrebbe non riuscirci? 
«Non sarà mai in grado di rilassarsi ai suoi confini. Dovrà mantenere un gran numero di divisioni dell’esercito e dell’aviazione su tutte le frontiere. Inoltre, le sue politiche navali assertive allarmano molti vicini. In questo momento sono in corso esercitazioni e manovre congiunte nell’Oceano Indiano tra le flotte di Stati Uniti, Australia, Singapore e India. Gli altri Paesi rispondono all’ascesa navale della Cina costruendo sempre più navi. Mentre le spese dell’Europa nella difesa e specialmente per la marina sono in declino, in Asia orientale non è così. La Corea del Sud ha cacciatorpediniere oceanici, chiaramente non solo per difendersi da eventuali aggressioni costiere nordcoreane; la Marina giapponese è tre volte più grande di quelle europee. In passato, si diceva che il fatto che nessuno si fidi della Cina fosse un enorme vantaggio strategico per gli Stati Uniti. Ora però, dopo tre anni di questo inadeguato presidente alla Casa Bianca, dobbiamo chiederci se l’America abbia ancora tanti amici nel mondo». 
Come giudica il ruolo dell’Onu, al quale ha dedicato il libro «Il parlamento dell’uomo», in queste dispute tra potenze? 
«Durante questa pandemia l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) è stata assai criticata, ma tutti guardano comunque agli organismi internazionali – incluse Banca mondiale, Fmi, il programma di sviluppo dell’Onu – e chiedono che lavorino meglio perché sappiamo che i governi, anche se chiudono i confini, non sono in grado da soli di gestire le minacce transnazionali. Di fronte al fatto che le potenze del Consiglio di sicurezza non cooperano per arroganza, credo che la via da seguire sia aumentare i membri di quell’organismo e migliorare la collaborazione tra agenzie di medio livello dell’Onu e ong. Con l’emergere della Cina e la domanda se l’America abbia superato il suo apice, siamo in un nuovo capitolo della storia di ascesa e declino delle grandi potenze; ma accanto a essa c’è una seconda storia, quella delle sfide non tradizionali e transnazionali di cui la pandemia è la più estrema espressione». 
È nel Pacifico che si deciderà il destino delle superpotenze? I conflitti continuano anche nel Mediterraneo e nel Golfo Persico. 
«C’è una scuola di pensiero geopolitico che sostiene che il centro del mondo, dopo molti secoli, si sia spostato dal Mediterraneo di Fernand Braudel all’Atlantico del Nord, e poi al Pacifico. Per lungo tempo non sembrava plausibile. Adesso l’ascesa della Cina e l’enormità delle sue esportazioni ha ricoperto il Pacifico settentrionale e centrale di navi dirette ai porti di Los Angeles, San Francisco, Vancouver, dell’Australia. Il Pacifico sta diventando un centro di attenzione e rivalità. Ma questo non cambia le dinamiche religiose e settarie in Medio Oriente. Nella tragica distruzione della Siria, che riguarda Paesi mediterranei come l’Italia e la Grecia con le conseguenze umanitarie, c’è un’altra variabile: l’ambizione del presidente russo Putin. Quand’era agente del Kgb vide, umiliato, la Germania dell’Est esultare mentre i russi se ne andavano, guardò con orrore Gorbaciov dissolvere l’Urss. Ora, con la sua politica di risentimento, vuole a tutti i costi che la Russia sia una grande potenza, anche se l’economia è relativamente debole. L’alleanza con Assad e la base navale russa nel Mediterraneo orientale sembrano riportare ai tempi dello zar Pietro il Grande. Putin usa le navi da guerra come pedine di prestigio sulla scacchiera internazionale ma il declino russo è irreversibile. Cos’ha Mosca da vendere al mondo? Solo petrolio e gas, e le esportazioni sono crollate. Oggi è al secondo posto per contagi da Covid». 

Dopo la pandemia alcuni immaginano la Cina alla guida dell’ordine mondiale, altri il suo tramonto . Nel nuovo «Ascesa e declino delle grandi potenze» chi sale e chi scende?
«Il nuovo capitolo di questa storia è su Pechino e sul relativo declino degli Stati Uniti, oltre al continuo declino dell’Europa, nonostante l’integrazione. Quattro anni fa stavo pensando di aggiungere il sottotitolo All’ombra della Cina. Ma una giovane ricercatrice di nome Elizabeth mi fece riflettere. “Professor Kennedy, non correrà il rischio d’essere troppo alla moda? Sarà come tutti gli altri: affascinato dall’ascesa della Cina, convinto che sia la superpotenza numero uno. Ma cosa accadrà se c’è una guerra civile o se tra 5 anni il Partito comunista perde il controllo? O se per via delle pressioni ambientali o dell’invecchiamento della popolazione la Cina inciampa e cade? Non ci farebbe una bella figura. Tra dieci anni la gente rileggerà la sua seconda edizione e dirà: quant’è datata!”. Penserò alle osservazioni di Elizabeth quando scriverò le mie riflessioni finali. Dovrò stare molto attento alle parole che uso. Alla fine della prima edizione, avevo inserito un monito, che poi tolsi temendo d’essere già lungo o che suonasse impertinente. Era un antico proverbio arabo: chi prevede il futuro e indovina non è intelligente, è soltanto molto fortunato».