Corriere della Sera, 24 maggio 2020
Berlino, addio all’aeroporto Tegel
Ora che lo stanno chiudendo, probabilmente per sempre, la prima cosa che viene in mente è la pipa di Magritte. «Questo non è un aeroporto» suonerebbe perfetto epitaffio per Tegel, lo scalo berlinese che a causa della pandemia ha visto crollare il proprio traffico del 95 per cento.
È la ragione per cui le autorità della capitale tedesca ne hanno annunciato la chiusura per due mesi dal prossimo 15 giugno. Ma è forte il sospetto che per Tegel non ci sarà neppure una cerimonia degli addii e che la serrata sarà per sempre. Con ben nove anni di ritardo sul calendario d’origine, il 31 ottobre infatti aprirà finalmente il «Ber», il nuovo aeroporto internazionale Berlin-Brandeburg intitolato a Willy Brandt, opera segnata da clamorosi errori di progettazione ed esecuzione, una specie di fabbrica di San Pietro che ha inferto un colpo durissimo al mito dell’efficienza tedesca. E poiché Tegel, come da programma, dovrebbe comunque cessare l’attività al momento in cui il Ber sarà operativo, sono in tanti a pronosticare che la chiusura ora prevista per i soli mesi estivi diventerà definitiva.
Con Tegel, Berlino perderà non solo e non tanto uno scalo aereo, quanto un luogo simbolico, teatro di momenti fatali della sua drammatica storia nel Ventesimo secolo.
Agli albori dell’aeronautica, quello che allora era solo uno slargo nei boschi del quadrante nord-occidentale della città, servì da quartier generale del primo battaglione aereo della reale aviazione prussiana. Più tardi, nei primissimi anni Trenta, era sulla Raketenflugplatz, uno spazio nella foresta di Tegel, che Rudolf Nebel, ex asso dell’aviazione guglielmina e ingegnere genialoide con l’ossessione dei razzi, provava a far esplodere i suoi modellini fai da te davanti a un pubblico di appassionati. Lo assisteva negli esperimenti un giovane aristocratico, biondo, figlio del ministro dell’Agricoltura della Repubblica di Weimar. Si chiamava Werner von Braun e sarebbe diventato il padre della missilistica moderna: qualche anno dopo, ormai scienziato prediletto di Hitler, a Tegel von Braun avrebbe testato i primi prototipi delle V-1, la Wonderwaffe, l’arma miracolosa con cui il Führer si illuse fino alla fine di poter rovesciare le sorti della guerra.
Ma l’anno più glorioso dell’epopea di Tegel fu il 1948. Quando Stalin con l’obiettivo di strangolare Berlino Ovest chiuse gli accessi via terra, rompendo gli accordi con le altre potenze vincitrici e isolandola dal resto del mondo, gli Alleati impiegarono meno di tre mesi a costruirvi la prima, moderna pista d’atterraggio, in grado di accogliere i giganteschi Dakota della Raf. Per un anno intero, attraverso gli scali di Tegel e di Tempelhof, nel cuore della città, il ponte aereo alleato rifornì Berlino di ogni cosa tenendola in vita: solo a Tegel arrivarono 2 milioni di tonnellate di carbone, patate, granaglie, carne e medicine.
Dopo la costruzione del Muro, data la brevità delle piste di Tempelhof, inadatte ad accogliere aerei di linea medio-grandi, Tegel crebbe fino a diventare il principale aeroporto di Berlino Ovest, dove atterravano Pan Am, Air France e dal 1975 British Airways. Negli anni Settanta, un progetto radicalmente nuovo di architettura brutalista, lo aveva trasformato in uno scalo efficiente e veloce. Ma l’aeroporto è stato vittima del proprio successo e dei ritardi nella realizzazione del Ber: costruito per un flusso massimo di sei milioni di passeggeri l’anno, Tegel ne ha gestiti 24 milioni nel 2019.
Adesso siamo all’ultimo atto. C’è chi vorrebbe trasformarlo in un parco tecnologico e chi invece lo immagina come un hub per il popolo della techno music con club, studio e spazi coperti per concerti di massa. Nell’uno e nell’altro caso, è un pezzo di storia che scompare. Requiem per un aeroporto.