Corriere della Sera, 24 maggio 2020
Negli Usa la mascherina è diventata una scelta politica
Nell’America polarizzata delle guerre culturali senza fine che trasforma anche la mascherina in un totem d’identità tribale, irrompe il messaggio accorato del governatore del North Dakota. Doug Burgum è un repubblicano, ma considera le protezioni contro il coronavirus per quelle che sono, stando ai dati sanitari: modi per ridurre la diffusione del contagio, non dichiarazioni ideologiche di appartenenza, come pensa una parte minoritaria ma rilevante del mondo conservatore.
Burgum vede la contestazione della mascherina diventare intolleranza con cittadini che si ribellano, a volte anche in modo violento, all’obbligo di indossarla in un locale. A Flint, Michigan, una guardia privata che cercava di far rispettare l’obbligo è stata uccisa. Mentre le diffuse proteste hanno spinto i governatori di Stati come l’Ohio ad attenuare le loro ordinanze con la protezione che da obbligatoria diventa facoltativa. E, ora, addirittura, si affaccia il fenomeno opposto: negozi che vietano l’ingresso a chi ha bocca e naso coperti. E allora reagisce: «Almeno qui, in North Dakota, evitiamo le divisioni insensate che affliggono il resto dell’America, non creiamo guerre culturali senza motivo: se ti metti la mascherina non stai dichiarando la tua fede politica o la tua preferenza per un candidato. Probabilmente lo fai – aggiunge Burgum con la voce che si spezza per la commozione – perché l’hai imparato quando hai dovuto proteggere un bimbo di 5 anni in terapia anticancro. O perché conosci gente vulnerabile che ha il Covid e combatte per la sopravvivenza».
Un messaggio significativo, che scuote le coscienze. E che, proprio per questo, non avrà effetto sulla tribù dei «no-mask» che, allergica alle lacrime, è convinta che indossarla sia una manifestazione di debolezza degno di una sinistra liberal spaventata e pusillanime mentre respingerla è il gesto coraggioso di chi difende con orgoglio l’intangibilità delle libertà personali, anche a costo di rischiare qualcosa.
I numeri della culture war sono chiari: il 79 per cento dei democratici indossa la mascherina in pubblico, mentre tra i repubblicani la quota scende al 59 per cento. Se guardiamo ai fatti, la cosa ha poco senso, ma molti preferiscono leggere tutto attraverso la lente dell’ideologia, rifugiarsi nelle tesi che confermano i propri pregiudizi, anziché avventurarsi nella faticosa analisi dei dati. Torna la ribellione contro gli esperti e le élite. Lo si vede in Congresso dove i conservatori duri partecipano ai dibattiti senza maschera, quelli moderati la usano in modo intermittente e i progressisti ce l’hanno sempre, spesso sotto forma di bandane colorite e un po’ modaiole. E lo si vede alla Casa Bianca dove la mascherina è diventata obbligatoria solo pochi giorni fa, quando si sono verificati due casi di covid-19. Mentre Trump, pur essendosi vantato all’inizio della pandemia di aver comprato milioni di mascherine in giro per il mondo, l’ha sempre considerata facoltativa e non ne ha mai indossata una fino a quale giorno fa. Nemmeno quando ha celebrato un anniversario coi veterani della Seconda guerra mondiale, ormai ultranovantenni. Ha messo in pericolo gente molto vulnerabile? Macché, lo ha difeso il teologo integralista R.R. Reno: «Ha mostrato rispetto per il loro coraggio: la maschera è roba da codardi».