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 2020  maggio 24 Domenica calendario

L’Europa più «debole» ha meno vittime

Sono passati tre mesi da quando a Codogno è diventato chiaro che la pandemia aveva piantato le sue prime bandiere in Europa. Ma sul piano sanitario, la sua conquista è stata diseguale. 
Romania, Bulgaria, Polonia, Grecia, Albania, Ungheria o Slovacchia sembrano aver avuto – in proporzione alla popolazione – molti meno morti dei Paesi dell’Europa più ricca come Francia, Germania, Svizzera, Svezia, Belgio, Danimarca, Gran Bretagna. In molti casi meno di un decimo di meno. Quei Paesi d’Europa centrale e orientale hanno registrato sicuramente anche meno contagi, ma ciò potrebbe non essere indicativo: dotati di meno mezzi, in proporzione sono riusciti a praticare meno tamponi. Eppure è evidente che hanno piegato la curva dell’epidemia prima e meglio. In parte, potrebbe essere stata fortuna. Eppure si tratta di economie integrate con il resto d’Europa, con quote di reddito dipendente dall’export fra il 30% e il oltre il 90%. Piuttosto gli indizi fanno pensare a un’altra spiegazione: quei Paesi sono stati più umili, perché erano più consapevoli della fragilità dei propri sistemi sanitari. Dall’inizio, hanno preso molto sul serio le notizie che arrivavano da Italia e Spagna e applicato prima regimi di lockdown più stringenti. Sapevano che non potevano permettersi rischi.
Una fotografia del quadro del 15 marzo scorso permette di capire come il cammino delle due parti d’Europa si sia divaricato. Quel giorno l’Italia contava già 1809 morti e 24 mila contagi. La Spagna aveva 294 morti e 7988 casi. Molti nel resto dell’Europa occidentale sospettavano tacitamente che l’epidemia sarebbe rimasta in quei due Paesi perché frutto della loro disorganizzazione. 
Non tutti però hanno creduto a questa versione. Il «Government Response Stringency Index» dell’Università di Oxford – una misura della restrittività dei lockdown, da 1 per la massima apertura a 100 per la massima chiusura – mostra che a metà marzo la Grecia e il gruppo dei Paesi d’Europa centrale e orientale si era già mosso. L’Albania era a 84, la Slovacchia a 71, la Romania a 67, la Polonia a 60, l’Ungheria a 59, la Grecia a 57. Invece i Paesi più ricchi sembravano più rilassati (la Germania a 37, la Francia a 50, il Belgio 53, Gran Bretagna a 11, la Svizzera 46, la Svezia a 18). Una stretta del confinamento in quasi tutta l’Europa occidentale sarebbe arrivata solo a fine marzo. Sono stati quindici giorni fatali.
Due mesi e mezzo dopo ci sono tutti i segni che l’umiltà dei Paesi meno forti d’Europa ha dato dei frutti. Li ha resi meno fragili. In base ai dati del Worldometer, l’Albania venerdì sera contava 11 morti per milione di abitanti, la Gran Bretagna 536. La Grecia contava 16, il Belgio 795. La Slovacchia 5 morti, la Francia 432. La Svizzera 220 morti, la Romania 60. La Germania 99, la Polonia 26. Così la consapevolezza della propria fragilità sembra aver reso a nazioni meno sicure di sé un grande servigio.