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 2020  maggio 24 Domenica calendario

Un prestito utile per Fca?

Sulla garanzia che Fca Italia chiede allo Stato per poter accedere ad un prestito di 6,3 miliardi di euro da Banca Intesa, vi è poca chiarezza. Sia da parte di chi chiede il prestito, sia da parte dello Stato che dovrebbe offrire la garanzia. Ancor prima di cercare di capire se il prestito sia o meno necessario, e se offrire la garanzia sia nell’interesse dei cittadini, occorre fare due premesse. Innanzitutto per Fca oggi lavorano in Italia poco meno di 90 mila persone. L’occupazione nell’indotto è stimata in quattro volte tanto, oltre 350 mila addetti.
È evidente che qualunque soluzione si scelga, quei posti di lavoro vanno difesi. Purtroppo, in un futuro relativamente vicino, le aziende automobilistiche che ci sono oggi non esisteranno più, a meno che non inizino rapidamente a ripensare in modo radicale le macchine che producono. Chi non lo farà in tempo scomparirà prima degli altri. Ma in mezzo alla pandemia con 5 milioni di lavoratori in cassa integrazione quei posti di lavoro oggi vanno difesi. E anche quelli dei fornitori di Fca molti dei quali da mesi non vengono pagati. 
Inoltre le aziende che producono automobili «vecchie» (benzina o diesel) oggi sono troppe. Già durante la fase di trasformazione del settore, che potrebbe essere lunga, il numero di aziende vecchie dovrà via via essere ridotto. Per questo l’accordo fra Fca e Peugeot che prevede la loro fusione, va nella direzione giusta e va concluso. 
In questo quadro il prestito di Banca Intesa accompagnato dalla garanzia dello Stato è lo strumento giusto? Per rispondere bisogna capire quale è il problema di Fca Italia. Se è un problema temporaneo di liquidità, la soluzione migliore non è un prestito garantito. La garanzia dello Stato aiuta Banca Intesa, che in questo modo si espone verso lo Stato, non verso un’impresa con un rating traballante. Ma indebitarsi peggiorerebbe ulteriormente la situazione patrimoniale di Fca. Se il problema è la liquidità, la soluzione migliore è che l’azienda anglo-olandese che possiede il 100% di Fca Italia e che ha liquidità abbondante le conceda un finanziamento temporaneo. 
Diverso, e sfortunatamente più probabile, il caso in cui Fca Italia abbia un problema di solvibilità, cioè abbia bisogno di capitale, non di liquidità. Qui un prestito non servirebbe a nulla. Si potrebbe invece applicare una norma analoga a quella prevista per imprese più piccole dal decreto Rilancio, all’articolo «Rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni». Cioè lo Stato non dovrebbe aiutare l’azienda garantendo il debito, ma entrando nel capitale come azionista. Nel primo caso, cioè se lo Stato offre una garanzia sul debito, il valore attuale della garanzia richiesta (che coprirebbe il 70% del prestito) è di circa 400 milioni (10% di probabilità che la quota garantita del prestito non venga ripagata). Ma se il Covid tornasse e Fca Italia non fosse in grado di ripagare, l’onere per i contribuenti sarebbe di 4 miliardi. Cioè, se tutto va bene lo Stato non guadagna nulla, diversamente perde 4 miliardi. 
L’ingresso nel capitale costerebbe di più, forse 2 o 3 miliardi di euro, ma se Fca Italia si riprendesse, a guadagnare sarebbero tutti gli azionisti, anche lo Stato. Cioè, gli incentivi dell’azienda e dello Stato verrebbero a coincidere. La presenza dello Stato italiano nel capitale consentirebbe anche di verificare, in modo più incisivo e sicuro di clausole generiche associate alla garanzia, che l’azienda usi il nuovo capitale per trasformarsi. Oggi, prima della fusione, lo Stato francese ha il 12% del capitale di Peugeot. Dopo la fusione delle due aziende scenderà al 6% circa. La presenza dello Stato italiano garantirebbe simmetria. E comunque dovrebbe essere un ingresso limitato nel tempo: già oggi l’accordo di fusione prevede una graduale uscita dello Stato francese dall’azionariato.
Insomma: se il problema di Fca Italia è la liquidità non si capisce perché è necessario un prestito a lungo termine garantito dallo Stato. Se invece è un problema di solvibilità e di ristrutturazione, lo Stato, se decide di partecipare, non deve essere uno spettatore passivo, ma la sua presenza dovrebbe essere limitata chiaramente nel tempo. 
Questo è ciò che si «dovrebbe» fare e che alcuni stati fanno. Si ricordi l’intervento di Obama quando nel 2009 nominò Steven Rattner capo della Task Force presidenziale sull’industria automobilistica. Quando invece si pensa all’Italia vengono alla mente i compagni di classe dei politici da questi nominati nei consigli di amministrazione di aziende importanti come Leonardo. La soluzione sono le paratie stagne, come nel caso delle banche centrali. Cioè la delega ad esperti indipendenti con un mandato specifico indicato dalla legge a sorvegliare sulle aziende delle quali lo Stato è temporaneamente azionista.