Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 24 Domenica calendario

I medici al potere, ieri e oggi

Il virologo e l’epidemiologo rappresentano, senza dubbio, le figure del momento. Al centro di trasformazioni profonde del nostro modo di vivere nell’era del coronavirus, e di una nuova tappa delle relazioni tra tecnica e politica nell’Italia della «transizione infinita» del post-Tangentopoli.
La figura del virologo è oggi un faro dell’opinione pubblica, e si è convertita in un’icona mediatica, contesa dai programmi tv. Prima dell’epoca della comunicazione di massa, c’è stata una fase della storia nazionale in cui si ritrovano coloro che potremmo considerare i progenitori degli epidemiologi adesso al centro della scena pubblica. Una specie di embrione del «partito dei virologi» che imperversa nei media a tutte le ore (dando sempre più l’impressione di voler oltrepassare gli opportuni limiti delle proprie competenze disciplinari...).
Nella seconda metà del XIX secolo, la questione dell’igiene pubblica – a partire dall’ottica, molto pragmatica, di poter contare su soldati più sani e, dunque, più forti e resistenti – finì per diventare un motivo ricorrente del dibattito politico-intellettuale di tutta Europa. E modificò (esattamente come sta avvenendo ora) le stesse categorie di pubblico e privato, rimescolate dal medico igienista, teorico di uno Stato che, nell’adempiere alla salvaguardia della salute collettiva, si faceva «istitutore del sociale».
A propagandare questi temi si dedicò per l’appunto l’igienismo, un movimento scientifico-culturale e politico europeo (e statunitense) portatore della visione secondo cui un popolo migliore è quello che sta meglio anche sotto il profilo della salute individuale e comune. Un arcipelago, composto da forze di pressione (oggi diremmo lobby), associazioni e gruppi differenti sotto vari profili ma unificati da una compiuta ideologia fondata sulla predicazione del verbo sanitario. L’igienismo fu così anche una sorta di «spirito dei tempi» che si diffuse all’interno di ambienti tra loro molto diversi. Con un ventaglio che andava dalle preoccupazioni «salubri» dei sindacati e delle cooperative emiliano-romagnole che, nel 1875, inviarono gruppi di loro lavoratori per la bonifica del litorale laziale fino al Regio esercito intento a migliorare le condizioni fisiche dei coscritti, e attivo, attraverso l’operato del Comitato di sanità militare e del suo ufficio statistico, nella stesura periodica di rapporti sullo «stato di salute» delle armate, prodighi di consigli ed estremamente rispettosi dei pareri dei medici. Si trattò di una pagina importante del giovane Stato unitario e della società liberale italiana, scritta da gruppi illuminati e da una minoranza cosmopolita composta da una galleria di medici, clinici, specialisti di igiene, chimici e scienziati (alcuni dei quali piemontesi): Agostino Bertani, Luigi Pagliani, Carlo Matteucci (ministro della Pubblica istruzione nel 1863), Guido Baccelli, Paolo Mantegazza, Corrado Tommasi-Crudeli, Alfonso Corradi (presidente della Società italiana d’igiene), Giacomo Giuseppe Alvisi, Giulio Bizzozero, Stanislao Cannizzaro. E poi, ancora, Jacob Moleschott, Moritz Schiff, Angelo Celli, Pietro Albertoni e Angelo Mosso (il quale ebbe un ruolo decisivo nella creazione dell’educazione fisica e nella promozione dello sport nelle vesti di presidente della Reale Società Ginnastica di Torino dal 1896, fondatore l’anno successivo della Scuola di ginnastica medica e ideatore del primo campionato di calcio).
Tutti, a vario titolo, protagonisti di una vicenda nazionale rilevante, quella del connubio tra medicina e impegno civile e della progettazione di una politica sanitaria. E pionieri di differenti filosofie di intervento dello Stato, per lo più improntate a una visione di «statalismo liberale» in un contesto comunque edificato sul libero-scambismo e il laissez faire, dove l’ideologia economico-politica egemone presso le élites procedeva in direzione contraria. L’igienismo costituisce una delle manifestazioni, all’interno del positivismo, dello stadio del «primato della biologia» e delle scienze naturali, chiamate a esercitare un ruolo di spicco nella cultura dell’Italia unificata. 
La nuova classe dirigente di derivazione risorgimentale era infatti accomunata dal laicismo, ma divisa dallo scontro tra il positivismo e il naturalismo, da una parte, e l’idealismo e l’hegelismo, dall’altra. Alla fine avrebbero vinto i secondi, ma il positivismo segnò profondamente la cultura del secondo Ottocento, e proprio con un’impronta marcata derivante dal materialismo e dallo scientismo di matrice biologica. Da cui la fortuna in Italia del darwinismo e dell’evoluzionismo (anche nella versione politico-sociale di Herbert Spencer), degli studi di microbiologia e batteriologia, della psichiatria, di un’antropologia rinnovata (accompagnata dall’etnologia), e la massiccia diffusione degli studi di criminologia (con figure celebri come Mantegazza, Cesare Lombroso ed Enrico Ferri).
Per la borghesia dell’Italia liberale la città rappresentava la vetrina della società civile, ma era anche una bolgia infernale popolata dai poveri e dalle folle sradicate dalle campagne. Si poneva pertanto un gigantesco problema di controllo sociale, che fornì «pane per i denti» di igienisti, riformatori sociali e criminologi. E l’ambiente urbano offrì il laboratorio nel quale sperimentare direttamente l’ingegneria sanitaria – collegata a quella sociale – con gli sventramenti e i progetti di risanamento (come la «legge per Napoli» del 15 gennaio 1885, approvata dopo un’epidemia di colera). 
Allo scopo di avere numeri certi (gli incubatori dei Big data) su cui ragionare e impostare i provvedimenti, gli igienisti si fecero promotori del ricorso alla statistica nelle «politiche pubbliche» dell’epoca. E diedero vita al «partito dell’igiene», scendendo direttamente in politica, al punto che alcuni degli attori principali di questa stagione – durata sostanzialmente dal 1870 al 1920 – entrarono in Parlamento per fare direttamente lobbying a favore del loro disegno di una «società risanata».