Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2020
Sono atteso dal re di Prussia. Una lettera di Mozart
Un pizzico di feticismo c’è, bisogna ammetterlo. Ma trattandosi di Mozart appare più che giustificato. Ecco la notizia: il Mozarteum di Salisburgo, fondazione che raduna il maggior numero di documenti riguardanti il musicista, ha da poco acquisito una letterina di Wolfgang Amadé a Costanze. Il testo, già noto, tradotto e catalogato, mancava dell’originale.
Incredibilmente questo, appena comprato (top secret proprietari e costi) figura quale primo e unico autografo tornato all’ovile, per quanto riguarda il capitolo della corrispondenza tra il compositore e la moglie. Ventisei righe sul fronte, otto sul retro. Fitte fitte, spiritose e veloci, tornite con grafia ordinata, a riempire ogni spazio. Senza correzioni, nemmeno un ritocco, una svista, un ripensamento, una cancellatura. E qui sta il senso dell’aver conquistato l’autografo. Perché racconta, o conferma, come era la penna di Mozart. Nella musica e nel privato: immacolata. Anche qui, quando in solitudine, tra l’allegro e il malinconico, lui scriveva a lei, da Praga, il 10 aprile del 1789.
Era venerdì santo. Che strano leggerlo, annotato di suo pugno, proprio all’inizio del foglio: quasi a voler instradare il viaggio in una ritualità più grande. Era la prima volta che Mozart viaggiava senza Costanze. Dal 1781, quando si erano sposati, i due vivevano a Vienna. Le incredibili maratone del grande esploratore, in carrozza in lungo e in largo per l’Europa, da quando era bambino, si erano decisamente diradate. La curiosità, l’ansia di conquista e di commissioni sembravano allontanate, placate. Ma siamo nella primavera del 1789, e da un anno e mezzo il compositore non presenta un’opera nuova. L’ultima era stata il Don Giovanni, al debutto a fine ottobre 1787 a Praga e nel maggio successivo, con aggiunte e tagli, a Vienna.
Quasi un segno del destino, la “Reisebrief”, questa lettera di viaggio autografa ora pubblicamente conquistata – presentata con giusto orgoglio dal direttore scientifico del Mozarteum, Ulrich Leisinger – viene proprio da Praga: «Raport von Prag», chiosa Mozart, nelle parole iniziali a Costanze. Quasi si trattasse di una missione militare. Scherza, ma si tratta di autentica conquista. Perché il più grande compositore d’opera, che aveva espugnato il Settecento dell’opera italiana e dell’opera tedesca portandole dove nessun altro avrebbe più potuto, in quel momento era senza lavoro. Senza contratti. Nessuno, dai teatri d’Europa, bussava alla sua porta. E gli restavano solo due anni e mezzo di vita.
Maynard Solomon, nell’imprescindibile Mozart. A life (HarperCollins, 1995) osa per primo insinuare che nel carteggio con Costanze talora – o spesso – Mozart abbia mentito. In particolare in queste otto lettere del viaggio verso Berlino. Dove Mozart appare troppo ricco, nei dettagli relativi a guadagni imminenti o annunciati. E in confusa difesa, a proposito di sospetti prolungamenti dell’itinerario. Ad aspettarlo – dice – c’è il re di Prussia (così conferma anche in questa lettera del venerdì santo) il quale re avrebbe chiesto all’oboista Friedrich Ramm, proprio a lui: «Ma come mai Mozart non si è ancora fatto vedere? E se non si è fatto vedere, vuol dire che non verrà mai qui a Berlino».
Così favoleggia Mozart a Costanze. Forse perché gli piaceva scherzare e attraverso la scrittura immaginare un mondo parallelo. Forse perché tra loro due era questo il modo di rivivere con allegria le difficoltà della vita quotidiana, l’ansia delle tasche vuote, i continui prestiti. Certo a noi, mentre scorriamo quella scritturina tanto regolare e diligente, tanto efficace nei dettagli, ricca di mille nomi e incontri, mentre leggiamo dei pranzi con uno (Duschek, il paladino, di cui forse Mozart scippò per qualche avventura la giovane moglie, cantante) seguendo poi gli incontri, in poche ore, con l’impresario Guardasoni, e poi con gli altolocati praghesi (Canal, consigliere imperiale, e Pachta von Rajov, conte) in cerca di appoggi e amicizia, riesce difficile credere che un re, a Berlino, in quel momento, stesse davvero impaziente in attesa di un musicista. Pur di nome Mozart.
Nulla avrebbe fruttato quel viaggio. Se non altri debiti, in particolare col principe Lichnowsky, il compagno di viaggio. Il quale, da vero principe, entrava nel mondo della storia (pronto poi ad aiutare Beethoven). Nelle varie tappe segnate dalle lettere a Costanze, tra Budwitz, Praga, Dresda, Berlino e ancora Praga (8 aprile – 31 maggio 1789) la più toccante resta quella di Lipsia, dove Mozart suonò all’organo di Bach, nella Thomaskirche, e il successore del Kantor, già allievo, disse ascoltandolo che non aveva sentito da allora una musica così intensa. Per il re di Prussia restò una dedica, a una serie di quartetti, interrotti dopo il terzo. Per Costanze, tra infinite promesse di fedeltà e un famoso raccontino erotico, un manipolo di letterine, di corsa. Lei se le tenne strette, queste e quelle che poi le avrebbe scritto nell’ultimo anno, quando lei era a Baden, per i bagni curativi. E mentre i figli, Carl e Franz Xaver, anni dopo la morte del padre donarono tutto il carteggio in loro possesso a Salisburgo, Costanze ne fece omaggio qua e là, centellinando e disperdendo quei fogli privati di Mozart. Che ora, a partire da questo, forse torneranno a casa.