Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2020
A tavola con Domingos das Neves
«Non esiste soltanto una Africa. Esistono molte Afriche. Tante quante sono i Paesi che la compongono. Questa molteplicità è insieme vitale e drammatica. Ovunque lo sviluppo del capitale umano, la liberazione delle energie imprenditoriali e l’affrancamento dalle vecchie élite sono le condizioni per restituirci la possibilità di costruire il nostro destino».
Domingos das Neves, giurista e imprenditore, è un figlio dell’Angola. Per questa “A tavola con” virtuale siamo collegati via Skype. Lui è nella sua casa di Luanda. Domingos vive con la famiglia nel quartiere residenziale di Morro Bento, una delle parti della capitale costruite alla fine degli anni Novanta: la moglie Katia e i loro quattro figli Lusyngha (femmina, 18 anni), Kalwangj, Tussangue e Yetu (maschi, 16, 13 anni e 5 anni). Katia è una piccola imprenditrice: «Ha una agenzia di collocamento di collaboratrici domestiche. Non è semplice perché nella nostra società vige un maschilismo fortissimo che rende prevalenti il sentimento della gelosia e l’idea che la moglie non debba lavorare».
«Tu che cosa hai di antipasto?», mi chiede. Io, qui in casa ad Arcore, ho della mocetta valdostana tagliata spessa. «Assomiglia alla bresaola, che mangio sempre quando vengo in Italia. Io, qui, ho invece preparato delle arachidi cotte e dei pezzi di manioca al forno», commenta lui.
Il suo è uno dei Paesi cruciali di un continente cruciale: dopo la Libia e la Nigeria, è il principale produttore di petrolio. È appartenuto al blocco comunista dal 1975 – anno dell’indipendenza dal Portogallo – al 1992, anno della fine del monopartitismo e dell’introduzione delle libere elezioni. Oggi la Cina vi esercita la sua miscela di hard e soft power.
Domingos, classe 1975, insegna diritto ecclesiastico pubblico alla Universidade Catolica de Angola e, appunto, è un avvocato e un imprenditore. Come legale ha lavorato dal 2009 al 2016 per le tre joint venture costituite dalla compagnia petrolifera nazionale Sonangol e dalla italiana Saipem (Petromar, Kwanda e Sagio): ha curato la revisione dei contratti commerciali e si è occupato di diritto del lavoro. Dal 2016 al 2018 è stato ombudsman, il difensore civico dei cittadini, del Banco Nacional de Angola: «Nel 2016, durante la riforma della banca centrale, ho accompagnato in Italia il governatore Valter Filipe Duarte da Silva che ha visitato la Banca d’Italia e lo Ior. In Vaticano abbiamo incontrato Papa Bergoglio».
Das Neves, sulla formazione, ha investito molto: «L’elemento più prezioso per il benessere è il capitale umano. Dieci anni fa, con degli investitori privati, abbiamo creato la società Humanitas, che a Luanda ha aperto sette collegi, dalla prima elementare al diploma di maturità. Abbiamo dodicimila studenti. Offriamo formazione ai figli dei ceti poveri e medi e, ultimamente, ai figli delle famiglie più abbienti. Siamo nelle fase delle autorizzazioni per una università privata, che avrà tre campi di studio: la medicina, in particolare quella molecolare, l’economia, con una specializzazione nel management e nella finanza, e l’ingegneria, soprattutto per la robotica. Abbiamo bisogno di professionisti per i nostri ospedali, per il nostro potere pubblico e per le nostre imprese. Va bene attrarre gli stranieri di livello, da cui imparare. Va meglio formare la nostra nuova classe dirigente».
Domingos si interrompe e, con curiosità, mi chiede: «Tu come continui il pranzo? Noi qui non abbiamo mai nello stesso pasto il primo e il secondo». Anche io, oggi, ho un piatto unico: vitello tonnato e insalata di pomodori. «Ah, ecco, io qui ho la polenta, che però da noi è molto più dura e compatta rispetto a come la fate voi nel Nord Italia. L’insalata che vedi è preparata con foglie di patate. Le patate dolci sono cotte sul legno».
Il mio commensale via Skype è nato povero. La sua casa era nel quartiere di São Paulo, nella periferia di Luanda. Il padre Adelino, che sapeva leggere e scrivere, era operaio in una fabbrica di sigarette. La madre Delfina, che non lo sapeva fare, era casalinga. Entrambi provenivano da Andulo, un villaggio sugli altipiani. «Eravamo in dieci fra fratelli e sorelle. Al mattino andavamo a scuola. Al pomeriggio, a ognuno era assegnato un turno: di fronte al portone di casa ci alternavamo a vendere le sigarette. Grazie all’istruzione la mia vita è cambiata. Le élite africane, in tutto il continente, usano i giovani per formare gli eserciti e le bande della guerriglia: i bambini e i ragazzi vengono arruolati come soldati per il loro vigore e la loro energia. Non li considerano l’elemento prezioso e nuovo con cui alimentare lo sviluppo economico, la costruzione sociale e il progresso civile».
Domingos sa che la cultura può cambiare le vite: «Al mattino andavo nella scuola pubblica. Ogni classe aveva cinquanta studenti. Al pomeriggio facevo i compiti e studiavo in parrocchia, seguito dai missionari salesiani».
Nel 1994 a Roma si tiene l’Assemblea speciale per l’Africa del sinodo dei vescovi, voluta da Karol Wojtyla, di cui lunedì scorso 18 maggio è caduto il centenario della nascita: «Un grande uomo, un grande Papa, uno dei miei santi protettori», dice Domingos. L’anno dopo, nel 1995, papa Wojtyla compie un lungo viaggio in Africa. Nel 1997, alla Giornata mondiale della gioventù di Parigi, Domingos incontra per la prima volta Wojtyla come delegato della Conferenza episcopale dell’Angola. Nel 2000, alla Giornata mondiale della gioventù di Roma porta la sua testimonianza a nome di tutti i giovani dell’Africa, di fronte appunto a papa Giovanni Paolo II. Parla del dolore, del perdono e della riconciliazione: l’anno prima il fratello Fernando, attivista dei diritti civili, è stato ucciso con sei colpi di pistola.
Racconta das Neves: «Sono rimasto a Roma per studiare diritto civile ecclesiastico alla Lateranense. Sono diventato amico di don Matteo Zuppi, l’attuale cardinale di Bologna, con cui organizzavamo le preghiere dei giovani angolani e dei giovani italiani, insieme per la pace, nella sua parrocchia di Santa Maria in Trastevere». Il riferimento italiano gli fa venire in mente il vino: «A me piacciono molto il lambrusco e il barolo. Ho però preferito, oggi, stappare una bottiglia di Murça, un rosso portoghese».
Domingos torna in Angola per fare crescere il suo Paese. Lo sviluppo interno all’Africa è, insieme al tema della pace e della rigenerazione delle classi dirigenti, il problema dei problemi. «L’Angola non ha una tradizione di grandi flussi migratori, ma è evidente che la pressione di tutta l’Africa sull’Europa è una delle questioni oggi più importanti. La distinzione fra migranti economici e migranti politici, fra chi fugge dalle guerre e chi fugge dalla fame, ha un valore relativo», sottolinea.
Secondo il Fondo monetario internazionale in Angola il Pil procapite, a prezzi costanti, nel 2012 è salito del 5,4% rispetto all’anno prima. Nel 2013, è ancora aumentato dell’1,8 per cento. Nel 2014 è cresciuto dell’1,7 per cento. Poi, è iniziata la discesa: -2% nel 2015, -5,5% nel 2016, -3,2% nel 2017, -4,1% nel 2018 e -4,3% nel 2019. Negli ultimi dieci anni il mercato del petrolio è stato instabile e i prezzi del barile sono scesi. Sotto il profilo monetario la valuta nazionale, il kwanza, si è deprezzata negli ultimi quattro anni di un buon 75% rispetto al dollaro. Il nodo strategico – comune a molti Paesi africani – è che è aumentato il debito pubblico. Nel 2012, il rapporto fra debito pubblico e Pil era pari al 26,7 per cento. Nel 2019, in soli sette anni, è esploso al 109,8 per cento: questa dinamica è determinata dalla grande svalutazione del kwanza, a fronte di un debito nominato in dollari. Le proiezioni dell’Fmi, per quest’anno, sono del 132,2 per cento.
Il punto è la composizione del debito. Una parte è dovuta alle quattro emissioni in dollari fatte, dal 2012, sui mercati internazionali. Una parte è in valuta locale per sottoscrittori nazionali. Una parte è in dollari di nuovo per sottoscrittori nazionali. Una ultima parte, la più consistente, è composta dai debiti verso la Cina. «Oggi la Cina ha una influenza fortissima. Ha finanziato infrastrutture distrutte dalla guerra civile. Ha una grande presa, anche perché non tutto il debito è visibile e trasparente. Oltre agli acquisti dei titoli di Stato che sono pubblici, la Cina ha stretto accordi riservati con il governo angolano per avere rimborsi di finanziamenti attraverso partite di greggio di Sonangol, la nostra compagnia nazionale», dice Domingos, mentre inizia a sbucciare una banana e delle arance (io, invece, prendo una fetta di torta alla ricotta con gocce di cioccolato). Dal 2018 a oggi, per il Fmi, si può stimare che la cifra complessiva a cui si riferisce das Neves sia compresa fra i 2,7 e i 5,5 miliardi di dollari all’anno.
Non ci sono soltanto le relazioni internazionali. Esiste anche la geopolitica delle storie personali e dei legami fra comunità distanti migliaia di chilometri. «A febbraio sono stato a Roma. Il 24 ho preso il volo di ritorno. Stiamo lavorando, fra Europa e Africa, a una nuova società editoriale che avrà due focus. Il primo sarà l’ecumenismo. Il secondo sarà l’etica negli affari. Noi abbiamo bisogno di investitori stranieri. Ma gli investitori stranieri, quando fanno le loro due diligence, decidono di non venire per la scarsa trasparenza giuridica e per la poca qualità etica del nostro sistema economico e sociale. Dobbiamo ripartire da lì». E lo dice sorseggiando un caffè all’italiana: «L’ho fatto con la moka, una delle prime cose che, quando ero piccolo, mi hanno insegnato i salesiani della mia parrocchia».