Il Messaggero, 24 maggio 2020
Il boom dei cibi senza
Da esigenza per la salute è diventata tendenza, quindi moda e infine business. La cucina Free From, cioè libera (senza sali, zuccheri, glutine, lattosio o altri elementi) in Italia – secondo il Rapporto BioBank 2019 – vale 6,8 miliardi di euro e ormai riguarda il 18,6% dei prodotti in commercio. Solitamente costano più dei tradizionali e bisognerà quindi capire se la crisi economica post Covid-19 ne fermerà la corsa. Per ora i consumi sembrano consolidati: un italiano su cinque rileva Eurispes – compra senza glutine e uno su quattro senza lattosio, spesso indipendentemente da intolleranze accertate. In particolare, il 19,3% dei consumatori acquista alimenti privi di glutine, a fronte di appena un 6,4% a cui è stata diagnosticata un’intolleranza a queste proteine. Stessa forbice tra chi compra i prodotti senza lievito (18,6%) e percentuale di intolleranti (sotto il 5%) e tra chi predilige prodotti senza lattosio (26%) e l’8,5% che effettivamente non lo tollera. «Una volta sceglievamo gli alimenti per quello che contenevano, adesso per quello che non contengono», commenta Enzo Spisni, docente di Fisiologia della nutrizione all’Università di Bologna. Secondo un’altra ricerca di Eurispes, il 96% dei sedicenti diagnosticati intolleranti è composto da malati immaginari e/o vittime di santoni che abusivamente esercitano la professione medica. Solo il 6,4% degli intervistati da Eurispes dichiara infatti di avere ricevuto diagnosi di intolleranza, ma in realtà le diagnosi di celiachia accertate dalle autorità sanitarie con metodi scientifici riguardano oggi soltanto lo 0,34% della popolazione in Italia.
IL PANIERE
Ovviamente l’industria ha colto al volo i presunti o veri problemi di salute e il paniere di cibi senza soia, uova, zuccheri aggiunti, sale, lievito, arachidi, olio di palma e via elencando sfiora nella grande distribuzione italiana i 12 mila prodotti, cioè il 27% delle 65 mila referenze analizzate dall’ultimo Osservatorio Immagine Nielsen. Si tratta di un fenomeno globale, tanto che Euromonitor prevede che la crescente domanda di opzioni prive di ipoallergeniche negli alimenti e nelle bevande dovrebbe generare ulteriori 9,5 miliardi di dollari Usa entro il 2021 e diventerà la categoria in più rapida crescita in Asia, in America Latina, Europa e Nord America con una media del +5,4 per cento. In Europa è l’Italia il paese che maggiormente asseconda la tendenza, seguito da Regno Unito, Germania e Francia. I gusti del mercato però sono mutevoli come dimostrato dall’olio di palma. Solo tre anni fa c’era stato un boom del 12,9%, delle vendite dei prodotti senza grasso vegetale tropicale, poi rallentato al 3,8% e ora quasi fermo. Un trend in fortissima crescita è quello della birra analcolica (cioè con un basso tenore alcolico). In Usa vale già il 30% del mercato, in Europa il 5%. Stenta il vino senza alcol o a bassa gradazione alcolica. A Bruxelles la Commissione Europea sta tentando di stabilire una regolarizzazione delle norme per evitare difformità sul mercato visto che alcuni paesi si stanno già muovendo, come la Spagna (che ne finanzia ricerca e sviluppo) e la Germania. In Italia all’avanguardia nei vini dealcolati alcohol free – sono alcuni produttori veneti di Prosecco (Astoria, Bosca e Iris Vigneti), con l’obiettivo di conquistare l’enorme mercato dei paesi arabi e comunque dei salutisti di tutto il mondo. Un primo punto sull’ampia offerta italiana nel settore è già fissato salvo rinvii a inizio settembre a Bologna quando all’interno del Sana, il salone internazionale del biologico e del naturale, debutterà Free From Hub. Proprio la settimana scorsa, invece, si sarebbe dovuto tenere a Parma Cibus (rinviato a maggio 2021) dove era prevista la presentazione di circa 1.400 nuove referenze specifiche, presto comunque visibili sulla piattaforma My Business Cibus messa a disposizione degli operatori internazionali per scoprire le novità della produzione agroalimentare italiana.