La Stampa, 24 maggio 2020
Intervista al direttore dell’Agenzia delle entrate
«Pagare tutti, pagare meno». L’ultimo che ha occupato l’ufficio del direttore dell’Agenzia delle entrate è stato un poco loquace generale della Guardia di Finanza. Ernesto Maria Ruffini è l’eccezione alla regola dello spoil system: nominato la prima volta dal governo Renzi alla guida di Equitalia, rimosso dal governo giallo-verde da direttore dell’Agenzia delle entrate, torna con Roberto Gualtieri, che renziano non è mai stato. Oggi deve fare un mestiere tutto nuovo: invece di riscuotere solo tasse, distribuire indennizzi per il lockdown.
Ruffini, il decreto del governo vi ha incaricato di versare i contributi a fondo perduto per le aziende con un giro d’affari inferiore ai cinque milioni. Quando verserete e come?
«Entro fine giugno, con bonifico bancario. Stiamo preparando una procedura telematica con Sogei».
Sarete pronti? O andrà a finire come il bonus agli autonomi dell’Inps?
«Non ci sarà nessun click day. E mi sembra che le indennità erogate dall’Inps ora stiano procedendo».
Tutte le scadenze fiscali di maggio sono state spostate fra fine giugno e settembre. Ci saranno altre proroghe?
«Al momento non sono previste. Ma queste sono domande da fare al Governo e al Parlamento».
Pagare tasse per i tanti che rischiano di chiudere sarà amaro.
«Nel decreto ci sono anche i crediti d’imposta per gli affitti commerciali, le sanificazioni, le ristrutturazioni edilizie ed energetiche. Come direbbe Draghi, faremo tutto quel che è necessario».
Ci vorrebbe una seria riforma fiscale, ma con il debito in volo chi avrà mai il coraggio di farla?
«Non lasciare mai che una crisi diventi un’opportunità sprecata. Posso divagare un attimo?»
Dipende. Dica.
«Quando i Pink Floyd scrissero "Another Brick in The Wall" ingaggiarono il coro di una scuola di Islington. Per anni i ragazzi di quel coro fecero una battaglia per ricevere i diritti d’autore. Mi piacerebbe contribuire a costruire un sistema fiscale grazie al quale ognuno si senta parte di una comunità, e non debba combattere per vedersi riconosciuti i diritti».
Scusi Ruffini, la citazione è bella ma una vera riforma fiscale costa cara. Carissima. Lo stesso Conte non sembra molto ottimista dopo l’inizio dell’emergenza. Lei davvero crede sia il momento giusto?
«La tragedia del coronavirus ha aperto la strada a margini fiscali impensabili. A forza di sovrapposizioni, il sistema è diventato iniquo e ha perso la progressività che gli imporrebbe la Costituzione. In Italia fra evasione fiscale e contributiva si perdono per strada più di cento miliardi l’anno. Con una seria riforma pagheremmo meno e pagheremmo tutti».
A forza di sovrapposizioni, bonus e imposte sostitutive ormai non ci si capisce più nulla. Come la imposterebbe una riforma?
«Bisognerebbe anzitutto riordinare le norme esistenti, eliminare quelle inutili, raccogliere le sette-ottocento leggi e decreti in materia tributaria, magari attraverso un testo unico. Una volta fatto questo, si può passare ad una vera riforma: l’ultima risale ormai a cinquant’anni fa».
Campa cavallo. Per il momento farsi una dichiarazione dei redditi da soli è pressoché impossibile.
«Pregiudizi. Ogni anno cresce il numero di italiani che fanno la precompilata e oggi venti milioni di persone hanno a disposizione una dichiarazione on line già fatta. Nel 2021 sarà possibile farla anche con l’Iva. La fatturazione elettronica funziona e sta facendo salire il gettito. Ed è in corso di completamento la digitalizzazione degli scontrini fiscali».
A proposito di gettito: durante il suo primo mandato Renzi ha imposto l’abolizione di Equitalia, una scelta che a molti apparve demagogica. Oggi sta tutto sotto il cappello dell’Agenzia. Ma ha funzionato?
«Prima della riforma Equitalia era di fatto divisa in varie società. La riforma ha funzionato eccome. Se non ci fosse stata la trasformazione non saremmo mai riusciti a gestire le ultime operazioni di rottamazione né oggi a fermare milioni di cartelle con un click».
C’è un però: con quella riforma molti Comuni si sono resi autonomi e si fanno la riscossione da soli. Ne sono capaci?
«Per dare una risposta seria dovrei avere dati che non sono a mia conoscenza. L’anno scorso su circa ottomila Comuni quelli che ci hanno affidato la riscossione sono 3.223. Farlo o non farlo è una loro libera scelta. Una cosa posso dirla: più il sistema è centralizzato, più forti sono le economie di scala, minori sono i costi. Se un cittadino ha due debiti fiscali, immagino preferisca risolvere il problema nello stesso ufficio».
Sempre a proposito di riscossione. Alla fine dell’anno scorso avevate ancora da recuperare 950 miliardi di vecchi debiti fiscali. Le rottamazioni non sono servite a nulla?
«Sono state fondamentali per milioni di italiani, per lo Stato e i Comuni. L’anomalia del cosiddetto magazzino l’ho denunciata io nel 2016. Di quella cifra è realisticamente recuperabile un decimo. Sembra poco, ma si tratta di quasi cento miliardi. Male non farebbero».
Il dieci per cento? Ma come è possibile?
«Si tratta in gran parte di soldi non recuperabili: stiamo parlando di aziende fallite, persone decedute, nullatenenti. Sa quanto ci vuole per risalire ad un erede? E come faccio a pignorare la prima casa a una persona che non ha più nulla? Per l’Agenzia si tratta solo di un costo».
Sta dicendo che ci vorrebbe un condono?
«No. Si chiamerebbe condono se fosse su somme riscuotibili. Si tratta di prendere atto che una parte di questi debiti è tale ormai solo sulla carta. Se ci liberassimo di questo inutile onere l’Agenzia si concentrerebbe meglio sul suo lavoro».