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 2020  maggio 24 Domenica calendario

Il momento Hamilton dell’Europa

Li chiamano "frugali", i quattro Paesi europei che sbarrano la strada al Fondo europeo da 500 miliardi proposto da Angela Merkel ed Emmanuel Macron. In tutta franchezza: è un riguardo che non meritano. Olanda, Danimarca, Austria e Svezia sono Paesi "ciechi". Non vedono quello che tutti noi, cittadini dell’Unione, viviamo e soffriamo ogni giorno sulla nostra pelle. Non vedono quello che Mario Draghi, esattamente due mesi fa sul Financial Times, descriveva come finora nessun altro è stato in grado di fare. La pandemia è una «tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche». Molte persone rischiano la vita, e molte di più rischiano di perdere le loro fonti di sostentamento. Le aziende di tutti i settori si trovano ad affrontare un crollo dei ricavi, e molte si stanno già ridimensionando e licenziando lavoratori. «Questa sfida si affronta con forza e velocità», per evitare che la Grande Recessione si trasformi in una Lunga Depressione. 
In quell’editoriale, insieme drammatico e pragmatico, l’ex presidente della Banca Centrale Europea tracciava anche una exit strategy. Lo Stato deve usare il bilancio per proteggere le famiglie e le imprese dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e non può assorbire. I debiti pubblici dovranno crescere, i debiti privati in molti casi dovranno essere cancellati. Istituzioni europee e governi dovranno garantire tutta la liquidità necessaria, attraverso il sistema bancario. Concludeva Draghi: serve uno sforzo di "rapidità" (perché ogni esitazione potrebbe avere "conseguenze irreversibili") e serve un radicale "cambio di mentalità" (perché questa crisi non è ciclica ma strutturale). "Ci serva da monito la memoria delle sofferenze degli europei durante gli Anni Venti". 
Come dire: dalla miopia di quel tempo, dagli errori di quella stagione, nacquero Weimar e subito dopo il fascismo in Italia e il nazismo in Germania. 
Senza futili piaggerie, perché non ne ha bisogno. E senza inutili endorsement, perché non ne ha interesse. Ma queste sono le parole di un leader che ha capito la "guerra" terribile che stiamo combattendo. L’Europa, come spazio geo-politico e socio-economico, attraversa un tornante della Storia che richiede una visione totalmente nuova. I popoli europei stanno pagando un prezzo altissimo a un’emergenza che non è più solo sanitaria, ma ora è anche finanziaria. Nel bollettino mensile appena uscito, la Bce ha stimato per la sola Eurozona una caduta del Pil compresa tra il 5 e il 12%. Il secondo trimestre, che scadrà a fine giugno, sarà peggio del primo. Il deterioramento degli indicatori dei consumi sarà "senza precedenti". 
Questo è "il contesto", che vede i popoli europei sempre più impauriti e impoveriti. Di fronte a questa moderna Apocalisse, dobbiamo riconoscere un’amara verità. La risposta più pronta ed efficace, ancora una volta, è arrivata dalla Bce (come già accadde durante la crisi dei debiti sovrani del 2010/2011). Dopo un clamoroso incidente iniziale, Christine Lagarde ha ricaricato il suo bazooka. E lo farà ancora di più nel board già convocato per il 4 giugno, quando sarà ampliato a oltre 1000 miliardi il piano di acquisti di bond denominato "Pandemic Emergency Purchase Program". Un ombrello provvidenziale per l’Italia: sui 382 miliardi di emissioni da coprire per l’intero 2020, la Bce ne assorbirà la bellezza di 120/140. Grazie Bce, dunque. Per il resto, dobbiamo ammetterlo: a livello comunitario finora abbiamo visto solo piccoli segnali. I finanziamenti Bei allargati, il lancio del Fondo Sure per gli ammortizzatori sociali. Ma nulla che evidenzi quel necessario "cambio di mentalità" invocato da Draghi. 
Lunedì scorso Merkel e Macron hanno provato finalmente a mettersi all’altezza della sfida. La proposta di un Fondo da 500 miliardi è una svolta promettente. Il primo vagito di una comunità di destino mai nata e di una condivisione europea mai conosciuta. Si tratta per la quasi totalità di sussidi a fondo perduto a carico di un bilancio europeo ampliato e solo in minima parte di prestiti da rimborsare. Nelle cancellerie lo chiamano "Momento Hamiltoniano" per l’Europa, secondo la formula che in Germania il ministro delle Finanze Olaf Scholz ha coniato in un’intervista su Die Zeit: la mossa franco-tedesca sarebbe simile a quella che fecero Alexander Hamilton e i padri fondatori del Nuovo Mondo nel 1790, quando convinsero i singoli Stati americani a trasferire i loro debiti di guerra al nuovo governo federale. Quell’atto coraggioso fu la vera "nation-building" degli Stati Uniti d’America. Ora la domanda cruciale è: oltre due secoli dopo, il piano Merkel-Macron può essere la "nation-building" degli Stati Uniti d’Europa? Lo scopriremo mercoledì prossimo, quando la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen renderà nota la sua proposta di "Recovery Fund". 
Nell’attesa, e nell’incertezza, una cosa ce l’abbiamo chiara. Il ritrovato asse franco-tedesco (senza il quale, piaccia o no ai sovranisti, l’Europa semplicemente non esiste) non si può fermare di fronte al veto dei "frugali/ciechi". La contro-proposta dei quattro Paesi del Nord, che esige un Fondo temporaneo e una tantum e prestiti fortemente condizionati, rientra nel consueto modus operandi dell’Ue. Non cambia di una virgola il "paradigma" comunitario. Non muove un solo passo nella direzione dell’Unione Fiscale: il solo approdo che abbiamo, insieme all’istituzione di un super-ministro delle Finanze europeo, se non vogliamo morire di sola unione monetaria. Mai come stavolta, tocca alla Cancelliera Merkel vincere le resistenze dei suoi Stati Satellite. A partire proprio dall’Olanda che da una parte fa la voce grossa contro i presunti "lassisti" del Sud col suo magro 6% di Pil comunitario, dall’altra fa un danno di 70 miliardi alle entrate dei partner Ue col suo dumping fiscale. Un sommo esempio di cecità. Ma si sa, non c’è mai abbastanza luce per chi non vuol vedere.