66 anni, nativo dell’Illinois, nonni paterni immigrati dalla Croazia, Malkovich s’è ricavato una sua nicchia tutta speciale a Hollywood, con quella sua voce nasale tra il baritono e il sussurro a far da contrappunto alla grande altezza e alla faccia indimenticabile, con sorriso ironico e beffardo.
Proveniente dal teatro, spazia tra cinema e tv, produzioni indipendenti e blockbuster. Dopo aver interpretato The New Pope di Paolo Sorrentino, ora nella serie Space Force , da venerdì su Netflix, diventa il Dott. Adrian Mallory, Capo Consulente Scientifico del progetto di creazione della sesta branca delle Forze Armate americane, la Space Force appunto, ispirata all’iniziativa di Donald Trump di separare questa dalla Air Force per il futuro dominio nella corsa allo spazio. Il tono è quello della satira e ricorda Il dottor Stranamore di Kubrick.
Cosa pensa del vero progetto di una Forza Spaziale?
«A essere onesto ne sapevo poco o niente prima di essere ingaggiato per la serie. Pensavo che la Space Force fosse un concetto immaginario, da fantascienza e basta. Mi sbagliavo. Del resto col nostro presidente e il suo entourage realtà e finzione si stanno fondendo. Bravo chi ci capisce. Io comunque non ho particolare fascino per lo spazio, i viaggi spaziali, la luna, Marte: mi affascina e mi intriga ancora la nostra Terra, che non finiamo mai di scoprire. Se pensate che io sia uno con la testa tra le nuvole — perché così sembro — vi sbagliate: sono uno molto terra terra».
Il suo personaggio ricorda Anthony Fauci, la voce della ragione scientifica contro scelte avventate.
«A ripensarci sì, anche se quando abbiamo girato la serie, l’anno scorso, io di Fauci non avevo mai sentito il nome. Un’altra era. Ma è vero, Fauci rappresenta la scienza contro l’istinto impulsivo ed affaristico del fare. Ma anche la scienza non è infallibile e dovrebbe essere pronta a mettere in discussione certe sue ricerche e ammettere errori. E la CDC, il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie, mi sembra che non ne sia capace».
Ha lavorato spesso in Italia, di recente con Sorrentino in "The New Pope". Il regista ha detto che sta pensando a una terza stagione per il piacere di lavorare di nuovo con lei. Cosa le piace dei nostri artisti?
«Ho avuto una grande fortuna a lavorare con geni come Bertolucci, Michelangelo Antonioni, Liliana Cavani, e Paolo Sorrentino ovviamente. E ho avuto l’opportunità di misurarmi con grandi attori come Marcello Mastroianni e con Silvio Orlando, proprio per The New Pope . I registi italiani hanno un modo particolare di sentire il cinema. Antonioni aveva il talento di posizionare gli attori, dunque i personaggi, in una geografia, di immergerli nell’ambiente, magari in ambienti per loro inusuali. E il posizionamento della cinepresa ti spiega cosa devi fare. Anche Sorrentino è così. Sì, ho sentito di una possibile terza stagione della sua serie ma non ne ho ancora parlato personalmente con Paolo, anche se la scorsa settimana ci siamo sentiti».
Per anni si è cimentato nel design di moda. Continua a farlo?
«No, ho smesso da tre anni. Ho perso lo slancio e la motivazione. Mi sono divertito, adoro il design in genere, l’arte figurativa e grafica, ma non credo di essere abbastanza bravo. Mi tengo stretto il mio vero lavoro».
Come immagina il mondo post-Covid?
«Difficile prevedere quando inizierà. L’unico termine di paragone che abbiamo è la "Spagnola", quando cinema e teatri chiusero per circa due anni. Allora tv, homevideo e Netflix ancora non esistevano! (ride) Davvero non so cosa il futuro ci riservi. Di sicuro sempre più film per la tv e tante serie. Ma anche quelle bisogna girarle, e come sapete i set sono affollati e come fai a parlare di distanziamento sociale! Però sono ottimista. Tutto si risolverà. Confido in intuzioni geniali, da parte della politica e della scienza. Anche come fare cinema dipenderà dalla scienza. E questo forse sarà il grande stravolgimento del post-Covid».