Corriere della Sera, 23 maggio 2020
I lavoratori in marcia hanno contagiato tutta l’India
Dati alla mano, il primo ministro indiano Narendra Modi può già reclamare un posto nell’affollato club dei leader che hanno capito poco del Coronavirus.
Oggi, dopo quasi due mesi di lockdown, l’India riaprirà alcuni voli interni. Un gesto liberatorio che vorrebbe marcare l’inizio della Fase 2, la ripartenza economica. La «più grande democrazia del mondo» può festeggiare sé stessa? Macché. Ieri è stato il giorno con il più alto numero di nuovi casi da quando il virus ha varcato la catena himalayana: 6.088. La frustrazione è grande. La paura ancora di più.
Le mascherine, il distanziamento sociale, il blocco dei trasporti, del commercio e delle fabbriche sembrano essere stati inutili. Invece di diminuire il virus si espande proprio ora che la vita dovrebbe ricominciare. Per il nazionalista indù Modi diventa difficile chiedere un altro periodo di clausura. L’economia del miliardo e 400 milioni di indiani è già ora avviata, per la prima volta dal 1979, ad una chiusura di anno in recessione.
Il fallimento non è arrivato da una mutazione genetica del virus, ma quando milioni di persone hanno abbandonato le città per tornare nelle campagne. Senza mezzi, in pieno lockdown, quei milioni di disperati hanno sparso faticosamente il virus ad ogni passo e ad ogni notte passata all’aperto per tutto il Paese.
Il premier Modi aveva imposto la quarantena il 24 marzo quando i casi erano ancora relativamente pochi. Come ovunque, le strade si sono svuotate e in India, perché è India, si sono anche rivisti i fenicotteri nelle città. Milioni di shramik, lavoratori precari, pagati a giornata, inurbati si sono ritrovati senza di che mantenersi. In un discorso tv, Modi ha rispolverato la mitologia classica (della cultura induista) e ha spiegato che la battaglia di «Mahabharata è stata vinta in 18 giorni, mentre noi batteremo il Coronavirus in 21». Erano le tre settimane di chiusura preventivate dal governo per mettere l’India al riparo dal virus. Sono diventate due mesi e il virus circola più di prima.
Nei primi giorni, le braccia del miracolo indiano hanno tentato di resistere. Se il blocco sarà di tre settimane inutile tornare al villaggio, qualcosa da mangiare si troverà anche tra il cemento, hanno pensato molti. Sono partiti solo quelli con le capanne (e la giungla) più vicini. Gli altri hanno dato fondo ai risparmi, ma di prolungamento in prolungamento la quarantena indiana non finiva. E così si sono messi in viaggio tutti. I fortunati in bicicletta, gli altri in marcia dal momento che i treni erano bloccati dalla quarantena. C’è chi ha fatto più di mille chilometri per trovare dove fermarsi. Le immagini dell’esodo hanno fatto il giro del mondo, ma non hanno convinto il governo Modi ad intervenire subito. È così che il coronavirus, domato nelle città, è riapparso nelle campagne. Trasportato dai piedi nudi dei giornalieri rimasti senza nulla per sopravvivere.
Il governo si è reso conto dell’errore troppo tardi. Sono state autorizzate decine di treni per raccogliere gli shramik ancora randagi per il sub continente. Nel frattempo però il virus era già arrivato ovunque.
L’India contende alla Cina il podio del Paese più popoloso al mondo e, fino ad ora, le sue 3.714 vittime da Covid-19 lo pongono all’undicesimo posto. Circa 8 indiani su centomila sarebbero stati colpiti dalla pandemia contro la media globale di 62 su centomila. Quello che era stato salutato come «modello India» però, appare fragile. C’è, purtroppo, spazio perché il contagio cresca. Focolai sono stati segnalati a Dharavi, la più grande baraccopoli dell’Asia, e nelle campagne senza assistenza sanitaria. La mitica battaglia di Mahabharata è stata molto, molto più breve.