Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 23 Sabato calendario

Storia di Gianni, sepolto senza avvertire la famiglia

Alle 15.44 del 4 aprile il dottor Vando Fossati preme «invio» sulla tastiera del computer. L’email raggiunge l’indirizzo istituzionale del sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Fossati non lo conosce personalmente, ma è il suo ultimo, disperato tentativo: non sa più a chi rivolgersi. Il messaggio inizia così: «Gentilissimo, sono a chiederle un aiuto...». Poi spiega: «Mio fratello Gianni Fossati è deceduto per coronavirus il 24 marzo all’ospedale “Fatebenefratelli”, dove è tuttora ricoverata sua moglie. Sono l’unico fratello e ho saputo del decesso da fonti informali». Non dal personale medico, né dal Comune. Fossati, senza informazioni e senza risposte alle sue domande poste in ogni sede possibile, chiede infine al sindaco come può «acquisire il certificato di morte» e recuperare «gli oggetti personali» del fratello: ma soprattutto, se possibile, vorrebbe sapere «dove è il feretro». 
È questo che è successo, a Milano: a 11 giorni dalla morte, Vando Fossati non sa dove sia la salma del fratello. L’amarezza più nera e composta traspare solo nell’ultima riga: «Non possiamo, non vogliamo essere trattati da clandestini». 
Non c’è offesa nel termine, non intende riferirsi a immigrati senza documenti. Il sostantivo viene usato in accezione letterale. Gianni Fossati, 79 anni, dirigente di Rcs per decenni, docente a contratto dell’università «Cattolica», vice presidente dell’Accademia italiana della cucina, portavoce del corpo consolare di Milano e Grande ufficiale della Repubblica insignito sotto la presidenza di Sergio Mattarella, è morto da «clandestino». Senza che nessuno avvertisse la famiglia. E così è stato inumato, come se fosse un marito, uno zio, un fratello di nessuno, fossa 23, Campo 87, la zona ricavata al Cimitero maggiore per i morti che nessuno reclama. 
Di quella collocazione Vando viene a conoscenza 13 giorni dopo la morte, due dopo la sepoltura. Erano i tempi peggiori della pandemia. C’erano il caos, il dolore, la fatica e molto è ancora da capire. In tanti sono morti lontani dai propri cari. Al personale medico, già provato, è toccato fare da filtro. Il «Fatebenefratelli» fa una ricostruzione diversa della vicenda. La prima parte coincide: Gianni è stato ricoverato il 18, il 24 marzo è morto. L’ospedale sottolinea: «Abbiamo tempestivamente avvisato la moglie», che a sua volta è stata ricoverata (il 27 marzo) restando in contatto costante con i parenti, ricordano i medici. «Telefonava spesso utilizzando il telefono del reparto dedicato ai degenti». 
La signora è guarita, è stata dimessa. Ma è stata lei stessa ad affidarsi al cognato per scoprire il destino del marito: ribadisce di non aver saputo della morte, tanto meno della collocazione al Campo 87. «È un’offesa gravissima – riflette Vando Fossati – che un uomo debba morire ed essere sepolto senza che la famiglia venga informata»; è «inammissibile che un fratello, zio e marito» debba andare sotto terra da solo, «come se la sua famiglia fosse legalmente “disinteressata” alla sua salma e al suo percorso dopo la morte»: perché quell’uomo una famiglia ce l’aveva, lui stesso ancora in vita aveva espresso la volontà di essere cremato, e infine «ricondotto nella tomba dei parenti della moglie, nel cimitero di Pavia, dove c’è anche nostra madre». 
Il Campo 87 è stato individuato in base a un’ordinanza del sindaco del 13 marzo scorso, quando i morti di Covid iniziavano ad aumentare e il Comune si è reso conto che la gestione delle salme sarebbe stata un problema. 
Quel giorno l’amministrazione decide di ridurre da 30 a 5 giorni il tempo che le famiglie hanno a disposizione per definire la gestione dei deceduti. Da quel termine in poi, l’amministrazione si fa carico delle sepolture, come accadeva già prima per le famiglie gravemente indigenti o legalmente disinteressate. Interpellato, l’assessorato ai Servizi civici non contempla errori, bensì casi di parenti irraggiungibili o malati, che non hanno potuto dare disposizioni. Per il caso di Gianni Fossati, il Comune parla di un’email dall’ospedale che riferiva di non aver trovato parenti. Due versioni inconciliabili. 
Il Corriere ha già raccontato la storia del professor L., ex preside, deceduto ancora al «Fatebenefratelli» e sepolto al Campo 87 per una carenza di informazioni alle figlie, residenti a Milano. Nella vicenda di Fossati sembra che le informazioni siano del tutto mancate. 
Il 18 marzo Fossati va a farsi vedere da un medico a Villa Marelli, un centro dell’ospedale Niguarda. Da qualche giorno sente sintomi strani. A Villa Marelli ha un amico, entra con la sua auto. Chiede un consulto. Il medico gli dice che deve andare in ospedale. Quel giorno stesso viene ricoverato al Fatebenefratelli. 
Il fratello Vando, appena lo viene a sapere, chiama più volte l’ospedale. Cerca informazioni. Non le riceve. Le telefonate rimbalzano senza esito tra centralino e reparti. Continua a tentare per giorni. Alla fine, riesce ad aprire un canale alternativo: grazie a un amico del figlio, trova un infermiere, che cerca tra le cartelle e riferisce che Fossati non è intubato, non ha il casco e viene assistito solo con un po’ di ossigeno. Ma il 24 marzo Fossati muore. Vando lo scopre il giorno dopo, ma non dall’ospedale. «Mio fratello – racconta – aveva tante conoscenze a Bergamo, e da lì, non so attraverso che giro, rimbalza fino a noi la notizia del decesso». Tanto che il 26 marzo escono già alcuni necrologi sul Corriere: «Il mio è uscito solo il giorno successivo, il 27». Da quel momento, l’uomo inizia una nuova ricerca, stavolta per sapere dove si trovi la salma. Chiama più volte l’ospedale; prova con i centralini del Comune. Non riesce a venirne a capo. Per rendersi conto dell’attenzione e dello scrupolo della famiglia, va detto che Vando Fossati, sapendo che suo fratello deteneva un’arma, dopo il decesso si preoccupa di chiamare la polizia, che infatti va nell’appartamento e la ritira. 
Il 4 aprile, a 11 giorni dalla morte del fratello, Vando Fossati scrive l’email al sindaco. Poi gli viene in mente di avere una vecchia conoscenza nei Radicali, e da quella arriva a Lorenzo Lipparini, assessore comunale alla Partecipazione. Lo contatta. Gli spiega. Lipparini si interessa. Poche ore dopo, nel tardo pomeriggio del 6 aprile, Vando Fossati riceve una email (recapitata per conoscenza anche al sindaco e all’assessore ai Servizi civici, Roberta Cocco): «Non avendo avuto disposizioni da parte dei parenti entro 5 giorni dal decesso», il Comune di Milano ha sepolto d’ufficio Gianni Fossati il 4 aprile, nel «campo 87», «fossa 23».