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 2020  maggio 23 Sabato calendario

Errori, anomalie e lacune nei report delle Regioni

Una montagna di dati, forniti spesso con criteri diversi, talvolta in ritardo di due o tre settimane, senza un adeguato campionamento statistico. Su questa base, il monitoraggio settimanale fornito dalle Regioni secondo il decreto del 30 aprile, lavorano il ministero della Salute e l’Istituto superiore della Sanità per valutare la riapertura delle «frontiere» tra le Regioni e il progressivo, e ancora incerto, ritorno alla normalità.
Negli ultimi giorni sono molte le segnalazioni di anomalie nei report delle Regioni, che mettono a rischio l’intero sistema. Come in un falso sillogismo, se le premesse sono sbagliate, errate saranno le conclusioni. Errori frutto di semplice inaccuratezza, incapacità strutturale del sistema oppure risultato di sviamenti programmatici? Per il professor Nino Caltabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che analizza sistematicamente le relazioni, «il fatto che la Regione sia titolare del monitoraggio espone a comportamenti di tipo opportunistico». Lo dice in termini ancora più netti il biologo Enrico Bucci: «È ovvio che se chiedi alle Regioni di fornirti dati decisivi su aperture o chiusure, saranno loro a determinare quali e come darteli seguendo logiche politiche interne». Al di là di eventuali mistificazioni, ci sono errori emersi platealmente negli ultimi giorni. La Fondazione Gimbe ha rilevato come nei report lombardi si comunichino i dimessi dagli ospedali, con una sovrastima dei guariti. Sempre in Lombardia, secondo il Fatto Quotidiano, dall’11 maggio sarebbero spariti dal grafico dei contagi di Milano i casi confermati e sintomatici. Il Trentino è improvvisamente passato da una media di rapporto contagi/tamponi superiore al 4% il 28 aprile, con gravi preoccupazioni, a quella ultra rassicurante dell’11 maggio, dello 0,14%. Non un miracolo, ma un calcolo di contagi più bassi per errore. Nelle Marche da un giorno all’altro si è cominciato a contare solo i casi sintomatici.
Dalle Regioni arrivano foglietti excel, quando va bene, che dicono poco o niente per analisi serie. Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri chiede «più accuratezza». Ma è un deficit strutturale. Perché, per esempio, si sa il numero complessivo dei tamponi, ma non si sa fatti a chi e come, se è il primo o il secondo di conferma, se è fatto a sintomatici o no. Questo impedisce di stabilire priorità nelle politiche dei tamponi successivi. Il tracking dovrebbe basarsi anche sui test degli anticorpi. La Lombardia sconsiglia quelli rapidi, nonostante diversi studi scientifici nel frattempo ne abbiano stabilita l’attendibilità. Non è chiaro quanti ne siano stati fatti e a chi. Non sono noti, per asserite ragioni di privacy, i dati della mortalità dei singoli comuni. Nel conteggio complessivo finiscono solo i decessi negli ospedali, a conferma della prospettiva «ospedalocentrica» della Lombardia. Michele Usuelli, medico e consigliere regionale in corsa per diventare presidente della Commissione d’inchiesta, spiega: «Anche la strategia comunicativa della Regione Lombardia deve entrare in Fase 2. Mi piacerebbe un dibattito pubblico per decidere, sentendo il parere della Commissione sanità e del Consiglio regionale, quali siano i numeri che è utile fornire adesso».
Sarebbe utile anche capire cosa succeda quando diminuisce la cifra dei ricoverati nelle terapie intensive: si tratta di decessi o di estubati? Non si sa. Quanto al famoso Rt, l’indice che misura la riproduzione del virus dopo le misure di contenimento, si basa su dati vecchi, a lockdown in vigore, e non parametrati: da qui il caso dell’Umbria che, per un aumento da 11 a soli 24 contagiati, ha subito un’impennata dell’alert, perché il dato non è proporzionato al numero complessivo dei casi. In Lazio le Asl e le aziende ospedaliere trasmettono i dati al Seresmi dello Spallanzani a cadenze diverse, ogni 24 ore oppure ogni settimana. Altro bug dei report: per stabilire correttamente l’Rt, le Regioni dovrebbero fornire la data di insorgenza dei sintomi. In media, perché i numeri siano attendibili, servirebbe almeno il 50 per cento dei dati. Ma in almeno nove Regioni quella cifra non si raggiunge. E così si è deciso di abbassare la soglia di attendibilità al 30%. Per Caltabellotta «secondo gli standard internazionali, bisognerebbe fare 200/250 tamponi al giorno per 100 mila abitanti. Ma pochissime Regioni hanno aumentato i tamponi diagnostici, solo Val d’Aosta e Trentino. Se la curva peggiora, verranno in superfice solo i casi di chi si aggraverà in maniera tale da dover andare in ospedale. E questo potrebbe accadere all’improvviso con tutte le gravi conseguenze che abbiamo già visto». Aggiunge Bucci: «Servirebbe anche un campionamento dei dati: a chi sono stati fatti i tamponi? E dove?». La sua conclusione è drastica: «Non abbiamo dati attendibili. E li usiamo con parametri sbagliati».