Tuttolibri, 23 maggio 2020
Intervista a Alessandro Baricco
Questo libro è un’opportunità. Prima di tutto per i ragazzi a cui è destinato, per scoprirsi i veri protagonisti di un’epoca. Poi, per coloro che terminata la lettura della versione «per adulti» dello stesso titolo, The Game (Einaudi), si sono sentiti immensamente più intelligenti, salvo poi tornare a vagare destabilizzati nell’infinita post-esperienza dell’oltremondo digitale. E ancora, per un genitore è un’occasione per ridurre i gradi di separazione da quei quasi ragazzi di cui sfugge perfino la definizione precisa: non più bambini, mutanti, preadolescenti, tweens, a cavallo tra Generazione Z e Alpha. È la prima volta che Alessandro Baricco, si rivolge a lettori nati tra il 2007 e il 2013, come i primi smartphone. Che qualcuno si sia preoccupato di collocarli su una mappa, assegnando loro un ruolo nel mondo in questo momento storico, mi è sembrato un gesto bellissimo e necessario.
Allora, come sono questi suoi nuovi lettori?
«Sono terribilmente svegli. Hanno molti più talenti rispetto a un tempo, un’intelligenza molto, molto brillante, vivace quasi risvegliata. Certo, non dobbiamo farne dei miti assoluti. Piuttosto trovare un equilibrio tra l’ammirazione che ci suscitano e l’impressione che noi comunque siamo quelli che hanno capito tutto della vita e, di conseguenza, dobbiamo dirgli come devono vivere. Lo sforzo dovrebbe essere quello di provare a mettere insieme questi due pezzi».
Sembriamo un po’ spaventati: sarà questa loro energia sociale e culturale, tutta nuova?
«Non è facile comprenderli. Sono misteriosi: di loro fino a 21 anni vediamo solo la punta dell’iceberg. Sono dei mondi sommersi. E ci costringono a lavorare con un numero di dati molto basso. Comprendere le esigenze reali dei ragazzi dell’era digitale non è un problema solo per i genitori, è difficile anche per lo Stato, per la scuola. Non dovrebbe mai prenderci la pigrizia».
Aiuto, sento già la barricate di chi ce l’ha messa tutta per dare il meglio, soprattutto negli ultimi mesi senza scuola...
«Riconosciamo il merito di tutti gli sforzi. Ma analizziamola così: la scuola ha chiuso e si è trovata nella necessità di fare scuola. Online. Per una volta, all’inizio, succede che siano i bambini a guardare un po’ dall’alto i prof, d’altra parte nessuno è tenuto a essere digitale. Poi la scuola ha cominciato a funzionare: ed è lì che vedi la pigrizia. L’online è un habitat differente non è solo uno strumento: conservare 5 ore di lezione in quell’habitat è un segnale di buona volontà, resa inutile o quasi dalla mancanza di "agilità mentale". I ragazzi non arrivano alla fine delle canzoni su Spotify perché hanno tra le mani un device che contiene tutti brani del mondo, non perché sono stupidi. Quindi tu devi essere capace di andare al ritmo di questa intelligenza, che è un’altra intelligenza! Da adulti stiamo compiendo gesti abbastanza commoventi: ci siamo sporti oltre noi stessi e abbiamo accettato la sfida digitale. E facciamo anche bene, ma poi ci fermiamo un attimo prima del gesto definitivo che è quello del pensare digitale, non solo agire digitale».
Però durante il lockdown, per una volta, abbiamo benedetto i videogame che li aiutavano a «stare buoni». L’avvicinamento tra due mondi?
«Qui si gioca simbolicamente il cuore della battaglia: il mondo sarà costruito sempre più come un videogame. Finché gli adulti penseranno che è il nemico, una forma di droga responsabile dell’istupidimento dei figli, non abbiamo speranze. Le strutture mentali «nuove» nascono da lì, non ci si può permettere di sottovalutare la brillantezza, la bellezza, la complessità, l’intelligenza dei videogame. Nella versione per adulti del Game ho tentato di dirlo in tutti i modi. E ho voluto che rimanesse nel libro per ragazzi: è un punto molto importante».
Il libro favorisce l’incontro tra generazioni su un terreno di gioco comune?
«Il libro dedicato ai ragazzi ha il design di un videogame che è lo schema già seguito nel libro per adulti dove il procedimento del pensiero non è simile a un saggio, ma è uno sforzo per andare verso una nuova intelligenza, il tema su cui volevo riflettere. La nuova versione invece, ha un sottotitolo che è «Storie del mondo digitale per ragazzi avventurosi» e promette un cambio di registro. Che è avvenuto grazie a Sara Beltrame che ha fatto un ulteriore sforzo, rendendo l’aspetto della struttura ancora più vicino al gioco e proponendo l’esplorazione dell’era digitale come un’avventura. I ragazzi sono chiamati ad agire da subito, per perlustrare e approfondire. Ma rimane un libro ed è bello che lo sia, anche l’artigianato delle illustrazioni è importante aggiunge un movimento che ai ragazzini è congeniale».
Libri vs. videogame: lo scontro è sempre aperto. Meglio un libro tra le mani anziché una console…
«Questa riflessione è il segnale che descrive un’umanità troppo impaurita, che corre istintivamente a guardare il difetto là dove con un po’ più di fatica potrebbe vedere il vantaggio. La statistica impietosa dei genitori che sono preoccupati per l’uso dei videogame è immensamente maggiore di quella in grado di apprezzare lucidamente cosa il videogame può dare. Non è un buon segno. Finché il ragazzino, poi, pensa che il videogame è il suo dispetto al mondo degli adulti… non andiamo da nessuna parte».
Insistiamo nel farli sentire sbagliati, però ore e ore nell’«oltremondo» fanno preoccupare, non crede?
«Il lato tossico dei videogame è evidente però, se posso permettermi: il mondo degli adulti si comporta con un’arroganza inaccettabile, non bisognerebbe dimenticare mai che noi occidentali abbiamo mille Playstation con cui viviamo ogni giorno, facciamo cose ad alto tasso di tossicità, e che non si tratta di noi migliori e voi peggiori. Detto questo, ogni tanto ci sta che devi staccarli da lì, ma deve essere un gesto che arriva alla fine di un dialogo iniziato molto prima».
Anche perché le mappe dell’Era Digitale che lasciamo nelle mani dei ragazzi le abbiamo disegnate noi adulti: dovremmo assumerci qualche responsabilità…
«Come adulti abbiamo questa capacità di riassumere le cose in forma di mappa, istintivamente educhiamo i nostri figli a credere nella capacità degli umani di organizzare il loro andare. Queste mappe possono essere anche piene di errori, ma lì i ragazzini trovano i riferimenti di altri che li aiutano a capire dove sono».
Come funziona una mappa quando, come nel caso dei giovani lettori, non sai (ancora) che tesoro stai cercando?
«Le mappe del passato ti creano una specie di educazione: sai che qualunque cosa accada tu sei in grado di mapparla. I videogame, tra l’altro, hanno un’educazione al mappismo molto alta: c’è sempre una mappa nell’angolo di uno schermo ed è per questo che i ragazzi crescono con un automatismo nel relazionare quel punto vicino a loro nel quadro più generale. Quindi per loro è istintivo viverla, all’istante; anche se non sanno bene dove sono, hanno il retropensiero costante che una mappa c’è, e che ogni giorno ci si alza per cercarla».
Possono cliccarci sopra per vedere dove porterà?
«No, perché la mappa del futuro se la scriveranno loro. E chissà in che modo lo faranno. Per favorirli potremmo cominciare a non scegliere nei loro confronti sempre le soluzioni più prudenziali e conservative».
E lasciare spazio anche ai loro nuovi sentimenti. Non è che poiché sono digitali non ne provano…
«Non posso dimenticare quando a mio figlio di 11 anni, ora ne ha 21, hanno ammazzato l’amico in una partita di Call of Duty. E lui si è commosso… Uno che al cinema la Disney non riusciva a farlo piangere mai! Per me è stata una lezione: lui che mi raccontava quell’emozione, e io che scoprivo la potenza narrativa lì dentro».
Di quanta umanità sono chiamati a mettere in gioco lo scopriamo nell’ultimo capitolo del libro. Arrivati alle soglie del futuro i lettori si chiedono "cosa siamo venuti a fare?"
«Abbiamo una certezza: l’ambiente sarà la causa di queste generazioni. Gliene fregherà relativamente di politica in senso tradizionale ma ci sarà una specie di adesione di massa a un’unica idea molto precisa di un modo di stare al mondo più rispettoso di sé stessi, degli altri essere viventi e del pianeta. Culturalmente rispetto alla civiltà petrolifera e meccanica di mio padre, quella digitale di mio figlio è più consona, no? Con la dovuta attenzione alla filiera, gira in maniera più armonica intorno a un desiderio di salvaguardia di un pianeta, e quindi penso che le due cose si avviteranno abbastanza facilmente una all’altra, e in questo entrerà anche l’Intelligenza Artificiale. Speriamo di non andare verso un’umanità troppo igienizzata, troppo asettica, troppo fanatica. Si può discutere l’opportunità dell’antropocene ma anche demonizzarlo può essere pericoloso. Questo è il cammino che aspetta le nuove generazioni».