Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 23 Sabato calendario

Parolisi killer in libertà

Come dimenticare Melania Rea, scomparsa il 18 aprile 2011 mentre era in gita con la famiglia: il marito Salvatore Parolisi, all’epoca caporalmaggiore dell’Esercito, e la figlia di due anni. 
Come dimenticare il suo corpo trafitto da oltre 35 coltellate, martoriato e abbandonato, ritrovato grazie a una telefonata anonima due giorni dopo la scomparsa nel bosco di Ripe di Civitella, non lontano dalla caserma in cui Parolisi lavorava? Come dimenticare Parolisi, condannato a vent’anni per l’omicidio, e il tumulto mediatico che seguì la notizia di uno dei più efferati assassinii degli ultimi anni, tumulto mediatico in cui l’opinione pubblica si spaccava in due, tra colpevolisti e innocentisti, scandagliando la vita di Parolisi e di Melania Rea, emettendo sentenze – umane, non legali, ma non per questo meno decisive – su una donna assassinata?
L’omicidio Rea era sulla bocca di tutti, su tutte le televisioni, in ogni media. Parolisi venne condannato inizialmente a trenta, poi a vent’anni, e i familiari speravano che, almeno, la figlia di Melania – la cui patria potestà era stata tolta al padre – potesse pian piano crescere, farsi degli amici, diventare una bambina e poi un’adolescente a suo modo tranquilla. Certo, una tragedia come questa non si può dimenticare. Non potrai mai dimenticare che tuo padre ha ucciso tua madre. Mai. Ma potrai costruirti un tuo mondo, delle tue barriere, e coltivare il ricordo di tua madre, circondata da chi ti vuole bene. Questo sì. 
Ma in questi giorni, la notizia che circolava da mesi secondo cui Parolisi, dopo aver scontato nove su vent’anni, potrebbe uscire coi benefici di buona condotta, pare diventata certa. La famiglia di Melania insorge. Dopo solo nove anni, Parolisi potrebbe essere "libero". «Sarebbe come uccidere Melania un’altra volta», dicono. E di nuovo, dopo che finalmente il chiacchiericcio mediatico si era zittito intorno a Melania, alla sua memoria, a sua figlia, ai suoi familiari, torna a crescere, sempre più forte, più pressante, e di nuovo si levano le voci di innocentisti e colpevolisti, a sindacare. A giudicare.
Non posso – e non voglio –, per non far parte di questo chiacchiericcio isterico, esprimere un giudizio. Chi sono io per decidere se sia giusto o sbagliato che Parolisi esca per buona condotta. Non sono un giudice. Però sono una persona. Una persona che ha studiato molti casi di donne uccise, torturate, violentate. Di donne che hanno denunciato anni di violenze e non sono mai state ascoltate. Molto spesso, una donna che muore per mano di un uomo è stata in ospedale mille volte a denunciare le violenze, a farsi refertare, molto spesso ha fatto ricorso alla legge, che però non l’ha aiutata. Molto spesso un uomo che fa violenza su una donna ma non riesce a ucciderla, quando poi esce, prestissimo, dal carcere, finisce quello che aveva cominciato. 
Non si può e non si deve generalizzare. Eppure. Capisco l’orrore di una donna torturata, sfigurata, ridotta in fin di vita, buttata in un cassonetto o in una discarica, viva solo per un caso, che vede il suo carnefice passeggiare libero, sano, non lontano da casa sua, l’orrore e la paura. Tu hai una seconda possibilità – pensa la donna – e io? A me, cosa resta? Capisco l’orrore dei genitori che hanno perso una figlia quando le porte del carcere si aprono per l’uomo che l’ha uccisa. 
Non conosco di persona i parenti di Melania Rea, né sua figlia. Ma vorrei lo stesso rivolgermi a loro: non posso capire la portata del vostro dolore, ma posso capire i vostri sentimenti. Chiedermi, in tutta onestà, cosa penserei io se fossi in voi. E darmi una risposta di cui sono certa.