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 2020  maggio 23 Sabato calendario

Ivan Bunin e la forza del destino

Un giorno, nel 1915, Ivan Bunin, scrittore all’epoca piuttosto celebre in Russia, amico e frequentatore di giganti da poco scomparsi come Lev Tolstoj e Anton Cechov, trova in una libreria di Mosca una copia di La morte a Venezia di Thomas Mann. Poi, torna nella sua Voronezh, sonnolenta città di provincia e su un giornale legge la storia di un ricco americano, morto all’improvviso nell’albergo Quisisisana di Capri. Nasce così, da un incrocio tra grande letteratura che tratta la decadenza del corpo ( come metafora della fine dell’Occidente) e una notizia di cronaca, in mezzo alla prima guerra mondiale, uno dei capolavori di un autore, Bunin appunto, vincitore del Nobel nel 1933, oggi quasi del tutto dimenticato. Ora Adelphi propone al lettore Il signore di San Francisco e altri racconti, nell’ottima traduzione di Claudia Zonghetti. La stessa raccolta, fu per la prima volta pubblicata in Italia nel 1934, a cura di due slavisti anche loro ormai dimenticati, Alfredo Polledro e Rachele Gutman ma la versione che l’editore milanese ci propone oggi corrisponde davvero alla qualità della scrittura di Bunin, per cui l’operazione può considerarsi ottima.
Al racconto torneremo. Intanto, chi era Bunin? Era nato nel 1870, in una famiglia di nobiltà, in un paese, la Russia, in rapida evoluzione dovuta all’industrializzazione, alla nascita di una classe media e alle conseguenze violente della trasformazione di masse di contadini in proletariato urbano. Questo shock aveva prodotto una letteratura, un teatro, e movimenti artistici tuttora fondamentali per il nostro immaginario. Ragazzi di provincia sognavano di diventare non solo ingegneri ma anche poeti e letterati. Così Bunin che traduce le poesie di Byron e Petrarca. Ma anche i suoi versi sono apprezzati. Si dà alla prosa e non solo alla poesia. Tolstoj lo incontra. Cechov cerca la sua compagnia durante una vacanza a Yalta. Presto Bunin viene acclamato come continuatore dell’opera dei due classici. Con Tolstoj divide l’assoluta maestria dell’uso della parola, la capacità di adoperare i più differenti registri di lingua a seconda del soggetto dell’opera. Di Cechov impara l’abilità di concentrare le emozioni e i ragionamenti degni di lunghissimi romanzi, in pagine di brevi racconti. Lo stesso Nabokov (pure lui capace di creare atmosfere magiche con poche parole messe in giusto ordine) lo elegge a maestro, salvo poi prendere le distanze, pare per questioni di reciproca invidia. E non da ultimo, lo apprezza Gorkij. I rapporti fra i due cessarono quando dopo la rivoluzione bolscevica Bunin lascia la Russia, sceglie l’esilio francese, prima a Parigi, poi in un paesino delle Alpi Marittime ( morirà apolide in preda alla nostalgia nel 1953). Per lui i bolscevichi sono barbari, praticamente cannibali.
Ora, prima della catastrofe e della fine del suo mondo Bunin era stato un grande viaggiatore. Aveva visitato la Palestina, l’Egitto, il Ceylon ( Sri Lanka), era attratto da mete esotiche, dove nel suo racconto prevale il lato estetico senza giudizi etici. Come tanti russi visitò l’Italia, e in particolare Capri. Sull’isola, nella villa affittata da Gorkij erano ospiti molti intellettuali suoi compatrioti, Lenin compreso, ma i due non si incontrarono.
Ecco, Il signore di San Francisco è ambientato proprio a Capri. La storia è semplice. Un ricco americano 58enne parte in vacanza in Europa con la moglie e la figlia. Viaggiano in una cabina di lusso su un piroscafo potente. Sono belli, eleganti. Hanno pianificato in dettaglio il loro viaggio. Pensano che i loro privilegi siano qualcosa di dovuto grazie al duro lavoro. Ognuno di loro coltiva dei sogni e ha desideri nascosti. La figlia di innamorarsi, la moglie di godersi la bellezza dell’Italia, il signore di trascorrere una serata con Carmela danzatrice di tarantola. Ma in un attimo, tutto si tramuta in tragedia, al lusso subentra lo squallore, all’artefatta gentilezza la brutalità. Nessuno, sembra suggerire Bunin, è padrone del proprio destino. Ma la forza di quel racconto sta nel coraggio di usare un registro sentimentale, al limite del kitsch e che risulta tuttaviasublime. E così anche in altri testi all’autore interessa raccontare le atmosfere, situazioni dove, come nelle opere di Cechov tutto avviene nelle teste e nei cuori dei protagonisti, alla perenne ricerca di una impossibile felicità, impossibile perché immaginaria e anche perché con un forte elemento di rinuncia e coscienza del prevedibile fallimento. Un russo che ha fatto carriera in Estremo oriente, si spara in testa, un guidatore di risciò nel Ceylon dopo una giornata assurda in cui scorrazza senza meta un signore inglese, scopre che la donna che sognava si era venduta ad altri, una signora francese in Algeria si innamora di un ragazzo che potrebbe essere suo figlio. E finisce male, anzi bene. Sta al lettore scegliere.