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 2020  maggio 23 Sabato calendario

L’ombra del Papeete sull’election day estivo

Certo è banale, ma dicono che sarà un’estate particolarmente calda. Infuocata sul piano del meteo: anticiclone africano, canicola record, ondate intense e durature, 40° e più, notti tropicali – ma almeno la speranza di rallentare il virus. Mentre dal punto di vista politico, se davvero si vota il 13 e il 14 settembre, sarà l’estate più scombinata e imprevedibile della storia repubblicana: basti pensare a ciò che di pazzesco e spaventoso metteranno in scena i protagonisti per catturare l’attenzione degli italiani in vacanza.
E se pure la realtà è un conto, e nulla mai si ripete allo stesso modo, rispetto al futuro la fantasia prende il volo; e volteggiando sulle debite controindicazioni – mancanza di soldi, disagi nei trasporti, distanziamenti sociali – ecco che la campagna elettorale immaginaria atterra in pieno agosto su quel lido fatidico dell’Adriatico dove l’anno scorso, tra cubiste maculate, bicchieroni di mojto con cannuccia e altoparlanti che diffondevano Fratelli d’Italia, l’epica sovranista e balneare di Salvini toccò il punto più alto, o forse era l’inizio della fine: comunque il Papeete.
In Italia si fa presto a far nascere una mitologia, e ancora di più se il soggetto leggendario appare controverso, stravagante, accaldato e divisivo. Lo stabilimento “Papeete Beach” di Milano Marittima, pure provvisto di arena per feste, consolle dj con annesso privè e persino di pista go-cart, è una perfetta pietra d’angolo e insieme di scandalo per un paese spaccato in due. Chi l’adora e chi lo detesta, chi l’agogna e chi lo disprezza. Così prima delle elezioni regionali in Emilia Romagna un Vittorio Sgarbi particolarmente dannunziano, incontrando Berlusconi gli ha proposto di ritornare insieme, «da bagnini di lusso, a compiere l’impresa fatale, a riprenderci quello che ci spetta». Qualche giorno dopo, d’altra parte, in quello stesso luogo i capi fondatori delle Sardine vollero concludere il loro impegno anti-salviniano con un tuffo propiziatorio d’intonazione dadaista. Era il 26 gennaio e sulla brumosa spiaggia facevano 6 gradi, «lasciateci fare una cazzata» sorrise Mattia Santori, ignaro delle successive che avrebbero un po’ ridimensionato le speranze del giovane movimento.
Ora, sebbene necessarie, le cronache politiche sulle date dell’election day non sembrano in verità fra le più appassionanti. Ma per fortuna la poesia non solo le riscatta, ma con l’occhio al presente può addirittura anticipare plausibili sviluppi e atmosfere; con il che si riporta la strofa del calendario in versi che ogni anno Michele Serra dedica all’anno entrante, 2020, per quanto riguarda il mese di agosto: «Hanno fame ed hanno sete/ i clienti del Papeete/ mentre aspettano ma invano/ che ritorni il Capitano/ Non ritorna. E la battigia/ sembra vuota, sembra grigia/ Scende la malinconia/ sul barile di sangria/ Tatuaggi bellicosi/ fatti solo l’anno scorso/ già sbiadiscono sul dorso/ tra pruriti e dermatosi».
Uno scenario ben lontano dalla trionfale richiesta dei pieni poteri, per quanto proprio l’altro giorno il proprietario del Papeete, Massimo Casanova, amicissimo del Capitano e divenuto nel frattempo europarlamentare, abbia confermato sia il ritorno di Salvini che il proseguimento delle danze. Queste ultime, per le note ragioni, da compiersi tuttavia «ciascuno sul proprio lettino » – a riprova che nonostante le tragedie l’Italia rimane un paese parecchio strambo. Ed è ovvio che esistono problemi più seri. Ma a prescindere da un appuntamento elettorale di primaria importanza convocato in un tempo ancora più che speciale, l’immaginario del Papeete è destinato a sopravvivere al virus facendo da inesorabile ponte con quanto, sempre piuttosto bizzarro, lo precedeva. Per cui a un certo punto il pd Orlando ha equiparato quello stabilimento alla Leopolda; così come l’astuto Casanova vi ha ambientato a sorpresa una comparsa di Grillo e di altri cinque stelle; e mentre i creativi democrat si erano inventati un tortuoso manifesto con un bimbo nero e la scritta «Anche lui vuol ballare al Papeete», assai più gravemente il ministro Gualtieri proclamava che la nazione «paga i conti del Papeete».
Quanto a Salvini, che in un attimo di distrazione il mite Zingaretti ha denominato «l’ubriacone del Papeete», beh, nulla lascia pensare che si sia mai pentito di quel prolungato soggiorno performativo, e che anzi il suo pubblico continui ad apprezzarlo anche per questo. Da un formidabile e ravvicinatissimo progetto fotografico di futura pubblicazione su Il corpo del Capitano (by Luca Santese e Marco P. Valli di Cesura) si vede benissimo che fra le medagliette al collo del leader sovranista ce n’è una che su un lato reca impressa l’immagine del Sacro Cuore di Gesù e sull’altro il logo smaltato del Papeete e sotto la scritta: “Non siamo soli”.Considerato il previsto caldo meteo-elettorale, non si capisce tanto bene se suona come una minaccia o una consolazione.