Corriere della Sera, 23 maggio 2020
Cenare alle 18.30
Invitanti e accoglienti, per far sentire bene il proprio ospite. Che i ristoranti da tempo puntassero, per accattivare, su stile e atmosfera degli interni quasi più che sulle portate, era un dato di fatto. Ora, conclusa la serrata per il Covid-19, la loro rinascita riparte irta di precauzioni e nel dibattito su come renderli sicuri e di nuovo meta piacevole dei nostri pranzi e cene. Divisori trasparenti, rarefazione dei tavoli, lontananza tra gli stessi commensali evocano un paesaggio ben lontano dal sembrare attraente. Per questo il tema vero ora diventa come modificare la loro architettura mantenendo la bellezza e l’identità.
Ne abbiamo parlato con l’architetto Tiziano Vudafieri, che con il socio Claudio Saverino ha progettato gli interni di molti ristoranti milanesi, con il doppio binario dato dal fatto che alcuni di questi luoghi sono anche di sua proprietà. Banco di sperimentazione è proprio l’ultimo, Røst, un bistrot di soli 36 posti dagli interni color mattone, inaugurato tre mesi prima del lockdown e in riapertura fisica in questi giorni. «Le regole chiedono il distanziamento tra i tavoli che per noi significa riduzione della capienza quasi a metà», premette Vudafieri. Lui però guarda già oltre, con un pensiero laterale basato sul cambio delle modalità d’uso: «Prima di tutto punterei su quella che definisco “desincronizzazione”, ovvero creare la voglia di frequentare il ristorante in vari momenti della giornata». Si tratta, secondo lui, di innestare consuetudini nuove: «Per esempio, cenare alle 18:30, per poi rientrare a vedere la tv o andare al cinema, oppure alle 21:30 finendo la serata al cocktail bar. Toccherà a noi rendere attrattive le proposte del ristorante in ore diverse da quelle classiche». Un modo per recuperare i posti persi, senza che gli avventori nemmeno lo percepiscano.
Ma c’è di più: «Tutti noi ristoratori saremo incentivati all’uso delle aree esterne davanti al locale. Sarà l’occasione per abbattere anche l’abitudine tutta italiana di cenare al chiuso già in autunno, esattamente al contrario del nord Europa che vive fuori tutto l’anno», riflette Vudafieri. «Così si creerebbe più dialogo con la città. Iniziando a precorrere un futuro in cui avremo poche auto, meno aree di parcheggio e quindi molte più strade da vivere. Recuperando una nuova dimensione urbana, più umana e sociale».
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