Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  maggio 22 Venerdì calendario

Il Maestro e Margherita spiegato da Paolo Nori

Di questi giorni che Francesca, la bambina e io abbiamo passato in casa senza quasi uscire, senza andare al cinema, senza andare in libreria, senza andare in biblioteca, senza andare a scuola, senza andare in palestra, senza prendere un autobus o un treno, di questi giorni molte cose me le dimenticherò, qualcuna no.
Mi ricorderò, credo, di quella volta che abbiamo ordinato dall’indiano, e qualcosa non è andato bene e siam stati male, e dopo cena, constatando il nostro malessere ci siamo chiesti cosa fosse successo e io ho detto: “Secondo me le lenticchie erano di seconda freschezza”.
E abbiamo riso, perché sia Francesca che mia figlia che io abbiamo letto Il maestro e Margherita, di Bulgakov, e nel Maestro e Margherita c’è uno storione di seconda freschezza che se uno lo legge una volta se lo ricorda per tutta la vita.
Dei tanti pomeriggi che ho passato in casa, nella mia vita di ragazzo, molti me li son dimenticati, uno no. Era un dopo pranzo che gli altri dormivano, non avevo niente da leggere, ho preso l’antologia di mio fratello, l’ho sfogliata e son capitato in un teatro di Mosca dove c’era un uomo con una giacchetta a quadri, un gatto grande come un ippopotamo (che si dice in russo, me lo ricordo da allora, begemót) e i moscoviti che, eran passati dei secoli, eran sempre gli stessi. Non avevo mai sentito parlare, prima di allora, di quello scrittore, era un certo Michail Bulgakov, nato a Kiev nel 1891, morto a Mosca nel 1940.
Il giorno dopo sono andato a cercare il romanzo e l’ho letto subito e ho visto che quel Begemòt, a un certo punto, con un suo collega che si chiamava Korov’ev, voleva entrare all’Unione degli scrittori, e una signora li aveva fermati all’entrata e aveva chiesto se eran scrittori, e loro avevan detto di sì, e lei aveva chiesto la tessera, e Korov’ev aveva detto che, secondo lui, Dostoevskij di tessere non ne aveva ma di sicuro era uno scrittore. E la signora aveva detto “Lei non è Dostoevskij”, e Korov’ev aveva chiesto “E come fa a saperlo?”, e la signora aveva detto “Dostoevskij è morto”, e Begemòt aveva risposto “Protesto. Dostoevskij è immortale”.
E l’inizio.
Ho iniziato a leggere tanti romanzi, nella mia vita, molti li ho dimenticati, uno no, con quella forza che eternamente vuole il male e eternamente compie il bene, e con quei signori che si trovavano in una via di Mosca, Malaja Bronnaja, e poi arrivavano agli stagni Patriarši e trovavano una signora che aveva un chiosco di bevande e chiedevano dell’acqua minerale, e l’acqua minerale non c’era, allora chiedevano della birra, e la birra non c’era, allora le chiedevano cosa c’era, e lei diceva che c’era del succo d’albicocca.
E loro prendevano due succhi di albicocca e lei apriva i succhi di albicocca e si spargeva nell’aria odore di pettinatrice, che era il modo di mia nonna di chiamare le pettinatrici, che l’altra gente, a parte mia nonna, credo le chiamassero le parrucchiere.
E quando poi, qualche anno dopo, son stato a Mosca per la prima volta, i primi posti che sono andato a cercare son stati la Màlaja Brónnaja e gli stagni Patriàršij, e mi è sembrato, me lo ricorderò sempre, di sentire odore di pettinatrice e ho pensato che io, nella mia vita, se non avessi letto quel romanzo lì di Bulgakov, non avrei mai riconosciuto l’odore di pettinatrice.
E questo romanzo stranissimo, scritto in Unione Sovietica, che ha come protagonista il diavolo, che non esiste, in Unione Sovietica, e tra i personaggi Gesù Cristo, figuriamoci, in Unione Sovietica, questo romanzo che Bulgakov scrive e riscrive negli ultimi anni della sua vita nonostante sappia benissimo che non verrà pubblicato, questo romanzo fantastico, inaudito, questo romanzo straordinario, con la sola propria esistenza, con la propria biografia di romanzo, con il fatto che i russi se lo battevano a macchina e se lo passavano, e tra il 1940, quando Bulgakov è morto, e il 1973, quando è stato pubblicato per la prima volta, l’avevano letto tutti, prima ancora che venisse pubblicato, con la sua sola esistenza, questo romanzo è venuto “da cielo in terra a miracol mostrare”, si potrebbe dire.
Se non fosse che l’essere che fa i miracoli, dentro il romanzo, il taumaturgo, non è un essere divino, non è una donna angelicata, non è Beatrice, non è un angelo, non è un santo, è un essere diabolico, è Satana in persona; un Satana meraviglioso, però, se è vero, come dicono, che è dopo aver letto Il maestro e Margherita che Mick Jagger ha scritto Sympathy for the Devil, che è, come tutti sanno, una canzone meravigliosa.
Ed è un Satana che, nel romanzo, al tramonto, è seduto sul tetto della dom Paškòva, uno dei più bei palazzi moscoviti, la sua spada piantata per terra, e compare, su quel tetto, Levi Matteo, l’apostolo, inviato di Cristo. E lo guarda, senza dir niente.
"Perché non mi dài il buon giorno?” chiede Woland. “Perché non voglio che il tuo giorno sia buono”, risponde Matteo. “Eppure ti toccherà rassegnarti”, dice Woland. “Parli come se non conoscessi le ombre, e neppure il male. Ma cosa mai farebbe il tuo bene, se non esistesse il male, e come apparirebbe la Terra se vi scomparissero le ombre? Oggetti e uomini proiettano ombra. Guarda l’ombra della mia spada. E ci sono le ombre degli alberi e degli esseri vivi. Non vorrai scorticare tutto il globo terrestre, togliendogli tutti gli alberi, tutti gli esseri vivi, per la tua fantasia di godere della nuda luce? Tu sei uno stupido”.
Ho letto molte scene romanzesche, nella mia vita. La maggior parte me le son dimenticate.