il Fatto Quotidiano, 22 maggio 2020
Le 150 petizioni dei cittadini durante il lockdown
Non solo ai fornelli: le lunghe settimane di lockdown hanno scatenato la fantasia degli italiani che hanno cucinato ricette a tutto spiano pure per il Parlamento. E così, mentre la quarantena obbligata costringeva deputati e senatori lontani da Roma, gli uffici di Montecitorio e di Palazzo Madama venivano inondati dalle petizioni dei cittadini semplici: più di 150 e non tutte suggerite dall’emergenza. Perché da casa c’è chi si è preso cura di chiedere incentivi fiscali per chi offra denaro o altre liberalità a sostegno dei soccorsi o per stabilizzare urgentemente i lavoratori precari della sanità pubblica.
Ma poi qualcun altro ha pure scritto per chiedere la riduzione delle indennità dei parlamentari, vista la situazione drammatica o ha voluto farsi sentire sull’abolizione dei vitalizi. Come anche per chiedere che ci sia più informazione pubblica sul referendum sul taglio dei parlamentari o che vengano revocate le concessioni autostradali ai privati. Una lunga serie di sollecitazioni, tutte assai accorate che si tratti di abolire le unioni civili o perorare i diritti dei transessuali, per richiamare l’attenzione sulla guerra in Yemen o per far inserire la professione del portalettere tra i lavori usuranti. Per quanto, che male c’è a invocare il ripristino del Festival della canzone napoletana?
La parte del leone però l’ha fatta senz’altro il Covid-19 che ha colpito tutti, come una livella: i vigilantes chiedono tutele data la crisi, come chi è era già in difficoltà e ora teme le banche. Chi si è dovuto misurare con le file ai supermercati o alle poste ora si interroga se per il futuro non ci si possa organizzare diversamente. Già, il futuro. Perché anche ora che il peggio sembra passato, è forse il caso, come si chiede in una petizione, di ripensare i presidi territoriali della sanità pubblica.