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 2020  maggio 22 Venerdì calendario

L’ex Ilva perde oltre 100 milioni al mese

Produzione crollata al minimo storico, più impianti fermi che in marcia, due soli altiforni in funzione, l’1 e il 4, 4.900 dipendenti fuori dallo stabilimento tra cassintegrati ed assenti per ferie, malattia e permessi della legge 104. Esplodono le perdite: dopo i circa 700 milioni “bruciati” nel 2019 ad un ritmo di 1,9 milioni di euro al giorno (dati forniti dai sindacati), per ArcelorMittal Italia le perdite avrebbero subito un’accelerazione a fine 2019. Dopo aver perso nel trimestre aprile-giugno 2019, 150 milioni di euro complessivi, come rivelò l’ex ad Matthieu Jehl – che nel frattempo ha definitivamente lasciato la multinazionale -, a novembre e dicembre scorsi, con una produzione di 10.500 tonnellate al giorno, le perdite sarebbero volate a circa 100 milioni al mese. E tali sarebbero rimaste adesso, perché è vero che la produzione è ulteriormente diminuita toccando le 7.500 tonnellate al giorno, ma il massiccio ricorso alla cassa integrazione, il drastico taglio di una serie di attività, comprese quelle di manutenzione, la stretta sui pagamenti alle imprese e lo stop ai cantieri per i lavori ambientali dell’Aia, hanno ridimensionato una serie di costi. Solo per la cassa integrazione si è passati da un numero medio di 800 lavoratori (nel periodo luglio 2019-marzo 2020) a 3.200 (ora). Cambiata, inoltre, sia la motivazione della cassa, da ordinaria per crisi di mercato a Covid 19, che la quantità massima chiesta: da 1.273 a 8.175 dipendenti. A questo si aggiunga che ArcelorMittal Italia non ha nemmeno pagato a Ilva in amministrazione straordinaria l’ultima rata del canone di fitto degli impianti, benché sia stato dimezzato rispetto ai 45 milioni iniziali a trimestre. «Ora riprenderò in mano il dossier per un aggiornamento» dichiara il premier Giuseppe Conte, al quale stanno giungendo segnali sempre più evidenti di sfacelo. Per lunedì mattina i ministri Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) e Nunzia Catalfo (Lavoro) hanno convocato in call conference i sindacati, ArcelorMittal Italia e Ilva in amministrazione straordinaria. Più di un’ipotesi sul tavolo: penale di un miliardo da chiedere all’azienda se espliciterà l’abbandono (ma fonti Mef hanno negato questa possibilità), nuovo piano del Governo che tende a mettere insieme privati e pubblico, quest’ultimo con un ruolo forte. Lo scenario è incerto e al confronto di lunedì si arriva in un clima reso rovente dalle proteste. Ieri si è scioperato a Genova dove lunedì c’era già stato un corteo dalla fabbrica alla Prefettura (lavoratori con mascherina e a distanza). La protesta – un’ora di sciopero per reparto – ha riguardato la decisione dell’azienda di estendere la cassa integrazione Covid a 600 addetti. Decisione che sindacati e rsu hanno definito «illegittima a fronte di commesse che non mancano». I cassintegrati si sono dati appuntamento alla portineria del varco merci bloccando i mezzi in entrata e in uscita dallo stabilimento. Oggi invece tocca a Taranto con due sit in: uno davanti alla Prefettura, indetto da Fim, Fiom e Uilm, ed un altro davanti alla direzione dello stabilimento, promosso dall’Usb. E lunedì ci saranno 4 ore di sciopero in tutto il gruppo ArcelorMittal che a Taranto diventeranno 8, tra primo e secondo turno, coinvolgendo anche il personale dell’indotto-appalto. 
Una settimana fa l’azienda ha improvvisamente fermato la ripartenza di alcuni impianti dopo averla programmata. Ha detto che i clienti hanno fermato gli ordini. Non sono più rientrati 630 cassintegrati e tra Taranto, Genova e Novi Ligure se ne sono aggiunti altri 1.000. Ma già il 6 maggio il direttore dello stabilimento di Taranto, Loris Pascucci, aveva fatto intendere come ci si stesse avvitando. «Il futuro è nero – aveva detto -, siamo in forte crisi dal secondo semestre 2019 e gli investimenti sono stati bloccati per non fare altri debiti». Nello stabilimento, oggi, scarseggia persino il carburante per i mezzi.