L’ultimo concerto di Antonello Venditti risale al 15 febbraio, a Livorno. Dal 4 marzo si è chiuso in casa, a Trastevere. «Sono uscito soltanto per andare dal dentista. Ho suonato molto, ma non sui social, tranne forse una volta all’inizio. Ho suonato per me, fino a dodici ore al pianoforte per trovare una parola più che una nota. Lo facevo quando avevo 16 anni e cercavo una mia libertà».
Il coronavirus non ha causato quindi il suo primo isolamento?
«Sì, ma nell’isolamento sono nati progetti politici e culturali importanti: penso a Ventotene e ad Altiero Spinelli da cui nacque l’Europa, ma anche all’Asinara, all’isolamento forzato di Falcone e Borsellino che gettarono le basi per il più grande processo alla mafia nella storia italiana. Dal carcere di Silvio Pellico è nata la riflessione sulla cultura giuridica, e dalla reclusione di Anna Frank abbiamo scoperto di più sull’orrore del nazismo. La quarantena ti permette di immaginare: costretti negli spostamenti ma liberi nella fantasia. Qualcosa ho scritto anche io in queste settimane».
Cosa le è mancato nei suoi due mesi di isolamento casalingo?
«Tutto quello che è la vita reale, a cominciare dagli amici. All’improvviso tutto quello che pensavamo fosse reale si è svelato virtuale e viceversa. Ci siamo ritrovati attaccati a un pc o a un telefonino. Di queste settimane poi restano tre fotografie: la sfilata dei carri dell’esercito con le bare di Bergamo è la prima ed è la dimostrazione che non siamo riusciti a difendere i più deboli, gli anziani. E un Paese senza memoria non ha futuro, lo diceva Primo Levi».
E la seconda fotografia?
«L’infermiera che crolla alla fine del turno di lavoro. Loro sono eroi maggiori, e quelle foto, come l’immagine di Papa Francesco solo sotto la pioggia in piazza San Pietro, giustamente hanno fatto il giro del mondo».
In questa crisi c’è stata tanta politica e tanta musica.
«E troppi virologi in tv: con una parola sembravano poter cambiare il nostro destino. Se ogni 5 minuti in televisione trovo un cantante o un virologo mi ritrovo sbalestrato. Loro sono stati una costante. Ma questa crisi ha avuto varie fasi, per la musica e per la politica».
Ovvero?
«In un primo momento sono rimasto affascinato da come il governo Conte ha gestito l’emergenza, rispettando la Costituzione: d’altra parte Mattarella è un custode attento della Carta. Ed era la fase della musica spontanea, persino dai balconi, che diventava quasi un ammortizzatore sociale della rabbia che c’era e che c’è ancora. Poi siamo diventati altro, "artisti che fanno divertire", come ha detto Conte. Insomma gente con un hobby che non fa nulla dalla mattina alla sera. Ma la musica è cultura e lavoro, è gente che monta palchi, che suona dai pianobar alle arene. Muti e Bocelli mi scaldano l’anima ma certo non mi fanno ridere».
Un’occasione persa per la musica?
«L’arte, e quindi la musica, è sempre stata vittima del potere, da Elvis Presley a Marilyn Monroe mandata ad allietare le truppe. Eppure è cultura: serviva coraggio a dire di no al cantare in situazioni improprie. Io ho detto no, e ho sperato in una giornata di silenzio per le vittime e per difendere cultura e musica. L’Iva sui concerti e sui cd è sempre alta, è più bassa persino per il porno. E mi rende orgoglioso la scelta di Assomusica di fermarsi per il 2020».
Anche il suo concerto con Francesco De Gregori all’Olimpico previsto per il 5 settembre è stato rinviato.
«Le prevendite sono state fermate, ma con il gran lavoro degli impresari tutti recupereremo le date appena l’emergenza sarà terminata».
Il calcio invece non sa se e quando ripartirà: che ne pensa?
«Dovrebbe fermarsi come la musica. Il gesto atletico è intatto, ma il significato di quel gesto è completamente ribaltato. Una partita in uno stadio vuoto non è una partita vera, è televisione più che calcio, come cantare in un’arena vuota. Ma la partita e il concerto sono persone, anime che convergono in un luogo per incontrarsi. Per questo nessuno ha chiesto il rimborso dei biglietti per i nostri concerti e per questo fermarsi è giusto, non dimenticando però le maestranze, i musicisti, i tecnici che lavorano nella musica e che vivono settimane drammatiche. Così come è giusto non dimenticarsi delle professionalità del calcio dilettantistico che ha perso tutto e di cui non si parla. Tutti insieme poi potremo ripartire e tornare ad abbracciarci».