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 2020  maggio 20 Mercoledì calendario

Api «a chilometro zero»

Nasce una nuova certificazione a tutela delle api e della biodiversità. L’ha messa a punto World Biodiversity Association, assieme ad apicoltori da sempre impegnati sulla sostenibilità, per guidare i produttori e consumatori a valorizzare il miele delle aziende che usano api locali e privilegiano prodotti in base alle territorialità. 
Paolo Fontana, 54 anni, entomologo di Isola Vicentina, ricercatore della Fondazione Edmund Mac, presidente Wba e da 34 anni apicoltore, ne è entusiasta: «Ce n’era bisogno perché altre certificazione, come quella bio, lasciano fuori alcuni aspetti importanti: non basta che sul vasetto ci sia scritto Miele, il consumatore deve sapere con quale tipo di apicoltura è stato prodotto». 
Tra gli aspetti che il produttore deve evitare per avere la certificazione, oltre all’utilizzo di api estranee al territorio, il «nomadismo»: spostamenti delle arnie in zone molto lontane, o perché si cerca una determinata fioritura o per andare a impollinare colture agrarie estensive. «In questo modo – spiega l’entomologo – viene sminuito il ruolo ecologico dell’ape come impollinatore di tutta la flora, anche quella spontanea». 
La certificazione verrà presentata oggi, nella Terza Giornata Mondiale delle Api. Prevede che i produttori utilizzino tecniche bio per combattere i parassiti come l’acaro Varroa (importato dalle api asiatiche proprio per il nomadismo), ma soprattutto la specificità territoriale. In Italia abbiamo 4 sottospecie: l’ape nera (al confine con Francia, Svizzera e Austria); l’ape Carnica (al confine sloveno), con fasce di peluria più chiara; l’ape italiana, tra le più rare al mondo a righe gialle, e quella siciliana, imparentata con le api africane. «Ma dal Brenta al Gennargentu ritroviamo api locali che sono le più efficaci per un’apicoltura mediterranea biosostenibile e per contrastare la concorrenza sleale di mieli o pseudomieli stranieri a basso costo. Fermo restando che se un vasetto costa meno di 10-12 euro è una patacca», spiega l’entomologo, affascinato dall’insetto che vanta schiere di fan. «È l’unico animale – dice – che ti consente di mettere le mani e gli occhi nel cuore della Natura. E osservandolo, in modo garbato, riesce a commuoverti». E cita il «canto» della regina che nella fase della sciamatura chiama le altre «con quel bi-bi-bi che fa, di colpo, immobilizzare le operaie come in un flash-mob». Ma anche «l’organizzazione di una società perfetta». 
Non è basata su una regina e migliaia di schiavi? «Non è lei a comandare, ma la tutela dell’alveare – chiude il ricercatore —. L’ape regina depone l’uovo in cellette particolari. Sa che poi verrà uccisa, ma lo fa lo stesso perché, come diceva l’imperatore Adriano “quello che va bene per l’alveare va bene all’ape”. Avremmo molto da imparare da lei».