Corriere della Sera, 20 maggio 2020
Il litigio tra New Yorker e Times sul caso Ronan Farrow
Giornalista d’inchiesta poco accurato? Vittima di un eccesso di protagonismo o dei condizionamenti psicologici di quel «giornalismo di resistenza» che si è andato diffondendo nei media americani durante la presidenza Trump? I rilievi mossi dal New York Times a Ronan Farrow, oggi il giornalista investigativo più celebre d’America, premiato con un Pulitzer per aver portato alla luce con le sue inchieste sul New Yorker (in parallelo proprio col New York Times ) lo scandalo sessuale che ha fatto finire in prigione il produttore cinematografico Harvey Weinstein, stanno provocando una tempesta nel mondo americano dell’informazione. Dibattiti interminabili su Twitter, interventi dei docenti delle scuole di giornalismo, la replica risentita del New Yorker che ha affidato al suo Michael Luo il compito di ribattere su tutto con una raffica di 16 tweet nei quali il giornalista accusa il collega del Times , Ben Smith, di aver commesso la stessa scorrettezza imputata a Farrow: tralasciare o minimizzare le informazioni che non sono funzionali alla tesi che vuole sostenere.
La storia è complessa e anche i protagonisti della controversia sono personaggi complicati. Proviamo a sintetizzare. Ben Smith, giornalista molto dinamico e creativo che per anni ha diretto un agile vascello-pirata dell’informazione, il sito BuzzFeed, aveva sempre trattato il New York Times come una corazzata arrugginita, destinata ad andare a picco. Qualche mese fa, però, getta la spugna e va a lavorare proprio per quella corazzata che, godendo di salute assai migliore di BuzzFeed, gli affida la prestigiosa rubrica di critico dei media.
Lui esordisce a modo suo, con un articolo nel quale ammette i suoi errori e la sconfitta – farsi assumere dal nemico – ma non rinuncia a criticare il nuovo datore di lavoro per la sua enorme influenza sul mondo dell’informazione. Gestendo una rubrica di analisi critiche, dopo qualche mese Smith decide di prendere di mira un mostro sacro di appena 32 anni: Ronan, figlio di due attori di fama mondiale, da sempre sotto i riflettori e con un’infanzia segnata dalle dispute avvelenate tra i genitori, Mia Farrow e Woody Allen. Ronan, pur essendo diventato ben presto una celebrity televisiva, sceglie il lavoro assai più faticoso e meno scintillante, del giornalista investigativo. Quando la Nbc si rifiuta di trasmettere la sua inchiesta su Weinstein, va al New Yorker. Da qui farà esplodere lo scandalo che gli varrà un premio che è una sorta di Nobel del giornalismo.
Passando al setaccio il suo lavoro, investigatore delle sue investigazioni, Ben Smith non fa scoperte clamorose: dà atto a Ronan di aver fatto inchieste importanti, ma gli imputa una serie di forzature e verifiche poco accurate, soprattutto su alcune delle accusatrici di Weinstein. Si concentra, poi, su un caso del quale fu protagonista Michael Cohen quando era avvocato di Donald Trump. Dando credito a una fonte interna del ministero del Tesoro, nel 2018 Farrow aveva parlato di documenti scottanti depositati da Cohen, fatti sparire dagli archivi del governo. Ne nacque un grosso caso politico, con i democratici all’offensiva. A distanza di due anni, nota Smith, ben poco resta in piedi di quella storia. I documenti non erano spariti: ne era stato solo vietato l’accesso al personale per evitare fughe di notizie. Una possibilità alla quale aveva fatto cenno lo stesso Farrow, che però, poi, aveva costruito tutta la storia sulla sparizione.
Anche sullo scandalo Weinstein, Smith non smentisce nulla, ma accusa un giornalista le cui inchieste hanno fatto nascere il movimento #metoo di aver costruito articoli «basati su narrative irresistibilmente cinematografiche» dando spazio anche a teorie cospirative. Luo replica accusando Smith di commettere le stesse forzature da lui attribuite a Farrow: «Ti abbiamo risposto, ma tu non hai pubblicato le nostre spiegazioni» perché non funzionali alla storia che volevi raccontare.
Ben Smith lupo solitario e livoroso che usa il Times? Difficile da credere, visto che la sua rubrica-inchiesta occupa due pagine del giornale. I rilievi di Smith alimentano lo scetticismo nei confronti della stampa ma fanno riflettere anche su certe pericolose derive. Giornalisti partigiani della resistenza anti-Trump? Macché, obietta la rivista di giornalismo della Columbia University: Farrow ha attaccato con pari durezza anche bersagli democratici, a partire da Hillary Clinton. La malattia, semmai, è quella di giornalisti che diventano prigionieri del loro ruolo di superstar.