Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2020
Ristoranti al tappeto: -80% di ricavi
Prima di riaprire hanno fatto scorta di gel disinfettante e mascherine, sanificato i locali, riorganizzato gli ambienti, riforniti i frigo. Una corsa contro il tempo per presentarsi ai clienti l’altro ieri. Ma all’appello manca circa un terzo dei ristoranti, molti di questi stellati, che ha deciso di aspettare a sollevare la saracinesca.
Per chi ha aperto purtroppo il bilancio delle prime ore di attività è negativo: tra pizzerie e ristoranti, trattorie e agriturismi il calo dei consumi è stato vicino all’80% secondo le ultime stime di Coldiretti. Pesa indiscutibilmente la scelta di chi non ha voluto o non ha fatto in tempo a riaprire ma molto spesso pesa ancora di più l’effetto smart working dovuto alla chiusura quasi totale degli uffici. In Lombardia, per esempio, ha riaperto il 50-70% di bar e ristoranti, a dirlo è la locale Confcommercio, con un trend in aumento ora dopo ora. Non manca chi lamenta regole confuse e clienti che, dopo l’esperienza fatta con food delivery e take away, non hanno voglia di ritornare a mangiare fuori casa. Fatti e rifatti i conti Edoardo Maggiori, giovane ristoratore di Milano, si prepara a registrare a fine anno perdite intorno al 70%. In Campania invece è scontro tra Regione e Comune: da un lato il sindaco Luigi De Magistris vorrebbe fare riaprire subito ristoranti e pizzerie nel capoluogo ma è inciampato sul no del governatore De Luca. I locali sul lungomare di Napoli che riapriranno domani dovranno fare i conti con le regole del distanziamento sociale che dimezza i coperti. Ovunque i bar e ristoranti aperti sono sorvegliati speciali con i governatori pronti a ordinare la richiusura dei locali nel caso di aumento dei contagi.
Le cifre della crisi
Così in questi primi giorni ha riaperto il 70% dei bar e ristoranti ma a farne le spese sono i dipendenti: circa 400mila sono rimasti a casa, quattro su dieci. Da non dimenticare inoltre la totale mancanza dei turisti stranieri che di solito dalla fine di aprile, inizi di maggio affollano le città d’arte. Una mancanza di peso per quelle attività come bar e ristoranti che vivono dei consumi alimentari “fuori casa”, business che vale circa 84 miliardi di euro l’anno.
Sono parecchi gli chef stellati e i ristoranti di lusso che hanno scelto di rinviare l’apertura. A Modena, l’Osteria Francescana, del tre stelle Michelin Massimo Bottura riaprirà il 2 giugno. Lo stesso giorno riaprirà a Bologna anche Fico-Eatalyworld con tutti i suoi ristoranti all’interno ed all’esterno e non mancheranno le novità. A Roma il ristorante La Pergola del pluristellato chef Heinz Beck ha fissato la riapertura al 23 giugno e continuerà l’attività, in via del tutto straordinaria, nel mese di agosto. A Brusaporto, nella bergamasca Da Vittorio, ha deciso di posticipare la riapertura del ristorante al 21 maggio per diversi motivi: avere a disposizione tutte le materie prime necessarie a seconda della proposta gastronomica, poi la scelta di fare un rodaggio interno più lungo in vista delle novità che saranno proposte, infine per scaramanzia. Il 21 è la somma di 2+1, quindi 3 e il 3 è il nostro numero portafortuna, fanno sapere la famiglia Cerea.
A Torino locali storici come “Del cambio” e “Farmacia del Cambio” hanno dato l’appuntamento ai clienti il prossimo 25 maggio, a Forte dei Marmi “La magnolia” dell’Hotel Byron il 1° luglio mentre altri non hanno ancora fissato una data per la riapertura. Situazione che accomuna l’Armani Ristorante e il Bamboo bar, il Club del Doge a Venezia, la Terrazza Gallia dell’Excelsior Gallia a Milano.
Nei giorni del lockdown le insegne della ristorazione hanno studiato ed elaborati protocolli per accelerare i tempi della riapertura. L’acquisto di Dpi e la sanificazione degli ambienti rappresentano un costo extra di diverse migliaia di euro, tra i 3 e 4mila euro per locale. «Confidiamo in contributi a sostegno per non gravare ancora di più su una situazione resa già molto difficile dalla assenza di incassi da ormai oltre 2 mesi» auspica Roberto Colombo, amministratore delegato di Sebeto a cui fanno capo un centinaio di locali in tutta Italia con le insegne Rossopomodoro, Anema e cozze, Rossosapore e La pizzeria nazionale. Lunedì hanno riaperto i primi 6 ristoranti con risultati variabili in funzione della location e della fascia oraria. «Mediamente l’incasso della prima giornata si è attestato tra il -60% e il -70% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente» segnala Colombo che si attende una ripresa lunga e differenziata. Secondo l’ad serviranno tempi lunghi per ritornare ai livelli pre Covid nelle località turistiche e in quei locali destinati a una clientela di viaggiatori. Un po’ più di ottimismo verso quelle città con una clientela residenziale e business. C’è però un dato fermo: quest’anno non sarà proprio possibile recuperare al 100% il livello di incassi del 2019. «Ci vorrà anche buona parte del 2021 e la parola d’ordine è cassa e la sua protezione – avverte l’ad che aggiunge -. I costi di prima non potranno essere più sopportati ed in particolare parlo dei costi del personale e degli affitti. Anche per lo sviluppo futuro dovremo cambiare tutti i paradigma utilizzati fino a ieri».
A rendere ancora più difficile la situazione delle imprese è la tangibile assenza delle misure annunciate dal Governo. Tra i vari esercenti interpellati dal Sole 24 Ore, si vedano le schede accanto, tutti hanno dato la stessa risposta: i dipendenti in cassa integrazione non hanno ancora ricevuto lo stipendio di marzo. C’è chi ha fatto smaltire le ferie arretrate e poi ha utilizzato al minimo l’ammortizzatore sociale.
Le catene della moderna ristorazione hanno bruciato le tappe per essere pronti alla riapertura. La maggiore parte degli oltre 220 ristoranti di Burger King in Italia già dalla scorsa settimana era pronti con le formule dell’home delivery e le corsie per acquistare dall’auto senza contatto fisico con gli operatori.
Tutti i ristoratori della Penisola hanno perso molto, moltissimo e fanno i conti con incassi decimati dalla pandemia. Perché non basta riaprire perché i costi fissi, aumentati nella Fase 2, falcidiano ogni possibilità di chiudere in utile l’esercizio in corso. In altre parole per salvare la ristorazione serviranno misure straordinarie.