la Repubblica, 20 maggio 2020
Boom delle vendite di biciclette
Il primo a sparire dagli scaffali è stato l’alcol. A ruota sono scomparsi lievito, guanti monouso e mascherine. E ora – con l’inizio della Fase 2 – la lista dei prodotti introvabili nell’era della pandemia si allunga con una new entry del tutto inattesa: le biciclette. «Una folla così in negozio non l’avevo mai vista», ride soddisfatto Davide Dalto. Bike Republic, il suo negozio sul Naviglio Grande a Milano, ha riaperto il 6 maggio. «E in dodici giorni – dice – ho venduto come in aprile e maggio dello scorso anno». Un caso? Tutt’altro. L’angolo “ciclismo” del Decathlon di Piazza Cairoli a due passi dal Duomo – dopo due giorni di assalti all’arma bianca dei clienti («debitamente distanziati» garantiscono i commessi) – ha dato via anche molti dei modelli in esposizione. «Ce lo immaginavamo visto che gli acquisti online durante il lockdown erano cresciuti a tre cifre», spiegano i portavoce della catena francese. «Tutti i nostri associati ci segnalano un’impennata della domanda, anche al netto degli incentivi del decreto Rilancio» conferma Paolo Magri dell’Associazione nazionale ciclo motociclo accessori (Ancma). E il boom di richieste per modelli tradizionali e “cugine” elettriche – calcola la Confindustria del pedale – potrebbe valere un +60% di vendite a maggio.
L’improvviso innamoramento degli italiani per la bici non è un fenomeno geograficamente isolato. La pandemia sta riscrivendo le regole della mobilità. E con i mezzi pubblici che viaggiano a capienza ridotta e le auto a rischio-traffico, le due ruote stanno vivendo un momento d’oro in tutto il mondo: il mercato negli Usa è raddoppiato a marzo, gli ordini per le mitiche Brompton (le pieghevoli inglesi da pendolari) sono quintuplicati ad aprile. Google ha registrato un aumento del 145% delle ricerche per “Best e-bikes”.
«Da noi ci sono tre fattori a spingere il mercato» spiega Matia Bonato, presidente di Assobici e rappresentante della quinta generazione del marchio Rossignoli. I 500 euro di incentivi (con un massimo del 60% della spesa) garantiti dal governo «sono quello meno importante», assicura. A puntellare la domanda sono i due mesi di chiusura dei negozi «ma soprattutto la paura di prendere i mezzi pubblici» nell’era del virus. «Avevamo preparato lo stock per la primavera prima del lockdown e pensavamo che sarebbe stato sufficiente per la Fase 2 – racconta –. Ma in pochi giorni l’abbiamo bruciato». «In una domenica primaverile vendevo 3-4 bici, oggi siamo a 12-13 – dice Dalto –. E in negozio sono arrivati clienti digiuni di ciclismo che prima del Covid non avrebbero mai preso in considerazione l’idea di mettersi in sella».
L’intera filiera (complici i buchi negli arrivi della componentistica della Cina) fatica a tenere il ritmo della domanda: «Vale per il piccolo telaista di Monza o il verniciatore di Buccinasco – racconta Bonato – e persino per un gigante come Bianchi: per alcuni modelli abbiamo ormai la previsione di consegna al prossimo febbraio».
I tanti nuovi entrati nel mondo del pedale si scontreranno da subito con lo stesso problema di sempre: l ’assenza di infrastrutture per le due ruote. «Su cento persone che vorrebbero usare la bici per spostarsi, 70 non lo fanno per paura – dice Magri –. Serve una pianificazione della mobilità coraggiosa ma equilibrata per aumentare la sicurezza dei ciclisti. Oggi le piste ciclabili sono poche e frammentate». Potenziarle è un modo per non perdere le migliaia di nuovi appassionati convinti a salire in sella dagli incentivi del governo. Un pacchetto da 120 milioni (retroattivo al 4 maggio) attivabile dal portale del Ministero dell’Ambiente dove sarà possibile ottenere il voucher e incassare il rimborso. Anche con il solo scontrino, garantiscono al ministero, malgrado l’Ancma consigli agli associati l’emissione di fattura.
Il difficile, a questo punto, rischia di essere trovare la bicicletta su un mercato vicino al “tutto esaurito”. «Molti fornitori che servono tutta Europa hanno svuotato i magazzini in pochi giorni», dice Dalto. «Il rischio è che diventino introvabili come le mascherine – ride Bonato – solo che qui non si può riconvertire l’industria dell’abbigliamento per venirci in soccorso».