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 2020  maggio 20 Mercoledì calendario

Periscopio

Per imbrigliare la capigliatura, Biancone (Eugenio Scalfari, ndr) nella terza età usa la retìna. Che è, per la testa, quello che sono i calzini per i piedi: un insulto. Indifferente a questo convincimento collettivo, Eugenio porta la retina in privato e in pubblico, al mare e in piscina. Giancarlo Perna, Da Scalfari. Una vita per il potere. Leonardo, 1989.
Il giovanottismo è la filosofia di vita del Dibba, è la rivolta spontanea di «noi eterni ragazzi» che non si vendono al sistema; ma anche nel senso di Jovanotti con la sua teologia civile dal Che Guevara a Madre Teresa di Calcutta, magari aggiornata scaricando l’app di Greta. Con la motocicletta e il ciuffo d’ananas sulla testa, Dibba ricorda che il suo pensiero è un frutto tropicale on the road... Un sessantottino fuori tempo, fuori luogo. Laurea in Dams, spirito utopico e ribelle, nemico di ogni potere e di ogni vera o presunta corruzione, passione esotica per i mondi remoti e arretrati, contestazione globale e protesta permanente, vita libera e puerile, allo stato brado, aperta a tutte le possibilità creative; all’epoca fu definita sindrome del «bambino indeterminato», essere tutto e occuparsi di tutto, ma per poco. Anche i suoi reportage fuffa per Il Fatto (che Crozza coglionava inesorabilmente) rientrano in questa mondovisione vaga e indefinita di chi non sa nulla ma esercita la sua ignoranza universale con infantilismo creativo. Marcello Veneziani. Panorama.

Per la cultura di stampo crociano la tecnologia è l’intendenza come si diceva una volta. Si dà per scontata, eppure, senza, perdi la guerra. Il nostro ruolo di divulgatori, in tv come nei giornali, non è tanto quello di spiegare le teorie scientifiche. Questo è il ruolo della scuola. Il nostro è spiegare quali conseguenze avranno queste scoperte e innovazioni in vari campi della conoscenza. Alla fine di questi discorsi non è che la gente deve conoscere tutto dei computer, basta che ne comprenda l’importanza che ha la ricerca in innovazione e dunque l’importanza di investire in uomini e mezzi. Piero Angela, divulgatore scientifico tv (Massimo Sideri). Corsera.

Quale meravigliosa primavera ci stiamo perdendo. Dal cielo di Roma ronza un elicottero della Polizia, che gira e torna, insistente. Il rombo delle pale mette angoscia. Ricorda, per un istante, un altro elicottero, quello con cui Benedetto XVI lasciò San Pietro. Come allora, oggi, qualcosa di mai visto a Roma, qualcosa che inquieta, quasi temessi di sentirci dentro un segno di fine dei tempi. Marina Corradi, scrittrice. Avvenire.

Gli Stati Uniti, che sembravano essere al di là del bene e del male, sono molto impreparati. Il progresso ci ha portato tanti benefici e confidavamo nel fatto che non ci sarebbero più state spiacevoli sorprese. Ebbene, no! Mario Vargas Llosa, scrittore peruviano, Nobel per la letteratura (Juan Cruz). la Repubblica.

La pandemia ci ha messo a nudo. Tutte le deficienze collettive stanno venendo fuori: adesso è chiaro ai più che siamo fragili, deboli e impreparati su tutti i fronti. La gente è colpita dai 120 medici morti. Se chi ha le armi per curare gli altri non riesce a curare se stesso significa che siamo nella tragedia. E poi c’è un’altra domanda ricorrente: come mai gli esperti non sono riusciti a dare l’allarme? Rino Formica, 93 anni, ex ministro delle finanze, socialista (Concetto Vecchio). la Repubblica.

Ero spastico e venivo da una famiglia povera. Problemi enormi di socializzazione, nessuno voleva sedersi vicino a me. Ma ho capito da subito che non era un destino da subire, il mio, ma una condizione da affrontare. La prima protesi è stata la penna biro, alle elementari avevamo calamaio e pennino, puoi immaginare i risultati. Con la biro è stato un trionfo... Poi sono arrivati gli anni fantastici nei quali è cambiato tutto, l’abolizione delle classi speciali, la legge Basaglia. È cambiato, finalmente, il paradigma culturale: la disabilità non significa non potere fare le cose; significa non sapere come farle, e imparare a farle. Mi sono detto: nessuno deve mai più permettersi di trattare male i tipi come me. Mi sono iscritto a Psicologia e tutto è cominciato. Lucio Moderato (Michele Serra). il venerdì.

Gavrila e Urvan, per punire nel Veneto da loro occupato per conto dei nazisti un loro soldato kazaco riottoso, erano dovuti ricorrere a pubbliche punizioni, ossia qualche frustata fatta applicare nel cortile della caserma, perché tutti vedessero. Altro modo per punire il kazak non esisteva. Il cosacco era come un animale selvatico che non può essere messo in gabbia, perché privato della propria libertà intristisce, diventa furioso o muore. Una decina di frustate se le dimenticava presto, ma un mese di cella non l’avrebbe dimenticato mai più. Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti. Mondadori, 1985.

Il coraggio e la calma dei militi piemontesi che stavano intorno a me in Eritrea non lasciavano nulla a desiderare. Il milite più vicino a me mi gettò una sigaretta e io gli passai la borraccia. Una pallottola che aveva spaccato in due una pietra fra me e lui ci aveva reso amici. Paolo Caccia Dominioni, Ascari K7, 1935-1936. Longanesi & C., 1966.

Il mercato a Zardino si faceva sulla piazza della chiesa, due volte al mese, il primo e il terzo lunedì; arrivavano gli ambulanti da Novara e dai paesi della valle del Ticino: Trecate, Oleggio, Galliate ed esponevano le loro mercanzie di terrecotte, attrezzi per l’agricoltura, di lettiere e altri strumenti per allegare i bigatti, di trappole per gli animali selvatici e di reti per i pesci, di calzature, di tessuti. Sebastiano Vassalli, La chimera. Rizzoli, 2014.

Il dandy oggi è il figlio dell’esibizionismo confuso del nostro tempo. Il dandy è incline all’autoerotismo. Il rischio che si innamori solo di se stesso è quello che mi fa più paura. Fabio Novembre, architetto (Luigi Mascheroni). il Giornale.

La giornata ventosa scarmigliava i pioppi e spandeva nell’aria i fiori dei mandorli selvatici. Ai due ragazzi affacciati alle finestre la primavera mandava un nervoso vagabondare di pollini. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1967.

A volte, la vita è più complicata in due che in tre. Roberto Gervaso. il Giornale.