la Repubblica, 19 maggio 2020
Il ritorno di Tyson per beneficenza
Il vecchio mostro torna dopo 15 anni di altro. Rientra per fare bene e non male. Anche perché ormai è un cannibale sdentato, senza nemmeno bisogno della museruola. Il tatuaggio maori che gli copre metà del viso non spaventa più, è solo un vecchio graffito. Mike Tyson, ex campione del mondo dei pesi massimi, vuole di nuovo fare a pugni sul ring. Per esibizione, sia chiaro. E forse anche per beneficenza.
Aveva lasciato nel 2005 dopo aver perso tre degli ultimi quattro incontri: con Lennox Lewis e i non fenomenali Danny Williams e Kevin McBride. L’ex re del male ne era uscito a pezzi. Un killer che non faceva più paura a nessuno. Senza munizioni e facilmente disarmabile. L’aveva riconosciuto anche lui: «Basta, smetto, sono finito». Il regista Spike Lee l’aveva aiutato a mettere su uno show dove Tyson si reinventava attore in un monologo autobiografico scritto da Randy Johnson, lo stesso di Elvis: The Concert e di A Night With Janis Joplin. Non era male lo spettacolo, Mike riusciva perfino a scherzare sulle sue ex mogli, sui suoi angoli sbagliati, tre anni in carcere per stupro, su droghe, orge, sesso e soldi. Sul suo essere brutto, sporco e cattivo. Non uno scolaro perfetto: «Credevo che il termine paranoico fosse un complimento». E quindi molto accattivante, soprattutto per l’audience americana sempre disposta a perdonare chi ammette le proprie colpe. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi. Mia madre era una prostituta, quando sono tornato dal suo funerale sono andato a svaligiare case. Ero un piccolo delinquente insicuro e grasso, non proprio un Clark Gable. Ma giudicatemi per quello che sono ora, non solo per le stronzate che ho fatto quando volevo metterlo in quel posto a tutto il mondo. Vorrei essere ricordato come un funny guy, non come un mostro. Visto che Barbra Streisand è una funny girl. Voglio fare il comico, non i ruoli da duro e da ombroso, non voglio più intimidire gli altri».
Otto figli, una, Exodus, morta a quattro anni nel 2009 strozzandosi per sbaglio con una corda. «E non avevo i soldi per il suo funerale, l’ho pagato con le offerte, ero in bancarotta». Già perché la vita da nababbo era finita, così some i 300 milioni di dollari in tasca, tutti bruciati. Tanti i suoi soprannomi, da King Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. E pure l’orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. E diventato un pezzo da collezione da rivendere sul web da parte di chi lo raccolse. E proprio da quel pezzo di carne datato 1997 e dal suo proprietario, Evander Holyfield detto The Real Deal, che Tyson vuole riprendere la sfida. I due si sono incontrati nel ’96 con successo di Holyfield (ko tecnico all’11° round) e l’anno dopo, quello del morso (doppio), dove Tyson fu squalificato alla terza ripresa. Da un mondiale vero, soprannominato anche «Ego contro Umiltà» dove Mike vampirizzato si autodistrusse, a un terzo match con poche riprese. Perché il Viale del Tramonto è lì con le sue vecchie foglie: Mike ha 53 anni, Evander 57. Non sembra il caso né l’età giusta per fare a pugni, ma l’attuale conto in banca di Tyson ammonta a 3 milioni di dollari e se è vera la sua voglia di charity lo sono anche le sue esigenze materiali (i soldi dello sponsor resterebbero a lui). Non c’è più boxe nell’era della pandemia. Gli sport di contatto sono spariti. E non ci sono nemmeno più i cattivi di una volta. Per cui 23 anni dopo va bene anche un revival. E la rappresentazione di quando a mordere eravamo noi.