Corriere della Sera, 19 maggio 2020
Il Papa, la Chiesa e la politica
Sul rapporto della Chiesa cattolica con la politica ha sempre pesato un sospetto: che tale rapporto equivalesse in pratica a un tradimento del Vangelo. Più o meno grave, più o meno consapevole, ma comunque un tradimento. Un tradimento quindi della missione della Chiesa stessa. Benché antichissima l’idea di questo contrasto è diventata più forte da due secoli a questa parte. Cioè da quando i cattolici si sono divisi in due schieramenti politicamente contrapposti: quelli orientati in senso genericamente conservatore (i quali accettavano il modo in cui la Chiesa era solita gestire da sempre il suo rapporto con la politica), e quelli invece di orientamento progressista (prima liberale, poi democratico e/o socialista) i quali invece hanno sempre rimproverato alla Chiesa un eccessivo politicismo e una scarsa attenzione al messaggio evangelico. Con papa Francesco questi secondi pensano di aver finalmente trovato chi finalmente realizza il loro ideale. Egli infatti farebbe certamente politica, sì, ma mettendo il Vangelo al primo posto: come dimostrerebbe per l’appunto il suo richiamo costante agli «ultimi», considerati i destinatari principali del messaggio evangelico.
Ora accade che Adriano Sofri e Gianni Vattimo, approvando del tutto un tale orientamento, dichiarino il proprio reciso disaccordo con un mio articolo (Corriere, 10 maggio) nel quale io ho invece sostenuto che la scelta di Bergoglio proprio con la sua insistenza sugli «ultimi» quasi mai accompagnata da un’eguale insistenza sugli aspetti religiosi in realtà finisca per essere più che altro una scelta ideologica, e di conseguenza politicamente inefficace.
In realtà la discussione su questi temi risulterebbe più chiara e quindi più utile se preliminarmente ci si chiarisse su alcune premesse. Per quello che mi riguarda proverò per l’appunto a farlo, naturalmente nel modo molto sommario e perentorio inevitabile in questa sede.
1) La Chiesa in quanto organismo storico sviluppatosi nei secoli non è nata solamente per predicare il Vangelo bensì per un’impresa in certo senso ben più ardua, cioè per mediare tra il Vangelo e il mondo: la politica consiste per l’appunto, in tal caso, nello spazio richiesto da questa mediazione. Se il gruppo dei primi discepoli del Cristo non avesse annoverate personalità straordinarie, Paolo in primis, capaci di compiere la fondamentale scelta geopolitica di venire a Roma e – dopo tre secoli di ardente proselitismo religioso segnato dalla persecuzione – di compiere la scelta ancor più decisiva (e difficile) di stipulare un accordo intimamente politico con l’Impero, la Chiesa non esisterebbe. Chi ha letto qualche libro di storia sa che da allora è stata questa la via percorsa da Roma: il Vangelo ma sapendo di dover per arrivare prima o poi alla politica, e la politica per guadagnare spazio alla Chiesa e al Vangelo. Quando ad esempio nel Natale dell’800 d. C. Carlo Magno fu incoronato dal papa Sacro Romano Imperatore nessuno, presumo, gli chiese conto della strage di 20 mila Sassoni compiuta allo scopo di convertirli al Cristianesimo. Semplicemente la Santa Sede capì il vantaggio che ne aveva e si era convinta che il mondo e la sua storia non sono propriamente un idillio. Che se si vuole stare dentro all’uno e all’altra non sempre è possibile farlo obbedendo ai dieci comandamenti. Assai più spesso è necessario ricercare un compromesso tra essi e il principio di realtà, tra le ragioni di Dio e le ragioni degli uomini, cioè del potere (come del resto sa bene la stessa Chiesa di Francesco allorché per giungere a quell’accordo con il potere comunista cinese che le sta massimamente a cuore chiude disinvoltamente gli occhi sulle sue innumerevoli malefatte). È da questa realistica presa d’atto che è sorta l’opera di altissimo equilibrismo intellettuale in cui si riassume l’esperienza bimillenaria della Chiesa cattolica. La cui moralità mi pare sia consistita in ciò: fino ai più ampli limiti del possibile nel non allontanare mai da sé chi intendeva rappresentare un punto di vista diverso, chi al principio di realtà opponeva per l’appunto il Vangelo. Vangelo che nel corso della storia della Chiesa non ha mai cessato di rappresentare il formidabile principio di contraddizione impossibile da cancellare e mai cancellato. Anche perché in ultima analisi era ad esso, al suo messaggio di salvezza, che la Chiesa sapeva bene di dovere il proprio seguito di massa e quindi la propria stessa forza politica.
2) Quanto al Vangelo, se posso osare di dire qualcosa, a me sembra che esso contenga non soltanto una predilezione per il peccatore, come scrive Sofri, ma in egual misura l’anatema per l’ipocrisia, per la spietatezza ipocrita di coloro che si affrettano a condannare il peccatore compiacendosi della propria finta osservanza della legge, finta perché in realtà peccatori anch’essi. È vero d’altra parte che il Cristianesimo ha significato una straordinaria rivalutazione storica, se così posso dire, della figura dei poveri, degli «ultimi».Ha fatto ciò, tuttavia, non già perché il suo testo ispiratore, il Vangelo, fosse un testo di riscatto sociale o perché al suo fondatore, a Gesù, interessasse un tale riscatto, ma semplicemente perché il Cristianesimo ha posto l’obbligo dell’amore e della pietà come obbligo dei credenti verso Dio, come l’essenza del suo messaggio religioso.
Da ciò il mio rilievo nei confronti di papa Francesco: perché mi pare che qualsiasi discorso in favore degli «ultimi» che però ponga in secondo piano l’obbligo ora detto – un obbligo che significa la necessità della conversione e insieme un rapporto personale con la verità della trascendenza – diventa puramente ideologico. E quindi tenderà inevitabilmente a fare della Chiesa un partito: il quale, come è proprio di ogni partito, piacerà agli uni e dispiacerà agli altri, piacerà alla Sinistra e dispiacerà alla Destra o viceversa, ma non produrrà la nascita di un sentimento religioso di nessun tipo in alcuno, assolutamente nulla che abbia a che fare con Dio. E perciò tantomeno servirà a far conseguire alla Chiesa stessa un qualunque obiettivo anche politico. Certamente potrà accrescere la popolarità del Papa presso l’opinione che conta, certamente potrà quindi consentire a Vattimo